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Questione di nomi e sigle

Non so per qualche strano e assurdo motivo mi sia venuto in mente ora, ma io ho sempre voluto un PowerBook. Sì, ok, ora ho un bel MacBook Pro. Che esteticamente uguale al PowerBook ed è pure molto più power, con un cuore tutto Intel e uno schermo con retro illuminazione a led.

Però il PowerBook aveva una cosa favolosa, che si è persa con “nuova generazione”: il nome. Perchè il PowerBook era ed è il PowerBook. Che poi lo potevi scrivere anche pauerbuk, a era uguali. Capivi esattamente cos’era, domandandoti solo se era il piccolino da 12″, il medio da 15 e il maxi da 17.

Ora invece.. il PowerBook è morto. E vive il MacBook Pro. Se ne parli, soprattutto a voce, lo potresti chiamare amichevolmente MacBook. Però così si confonderebbe con il fratellino bianco. E tu non vuoi che uno pensi che tu abbia quello bianco piccolo tanto caruccio. Se però lo chiami MacBook Pro.. ecco, allora diventi uno sborone, vuoi fare il figo, perchè hai aggiunto, hai specificato quel Pro finale. E poi.. prova un po’ tu a pronunciare mecbucpro. Non è troppo pesante, troppo “c” “c”, decisamente poco scorrevole? Ma si potrebbe pensare di omettere il mecbook. Alla fine, con l’Air, l’abbreviazione funziona. Può essere chiamato così, senza specificare che è un mecbuc. Perchè l’Air è l’Air. E’ il computer può sottile del mondo, anche dei Vaio, che entra nelle buste porta documenti americane. E con il Pro? No, uff, non lo puoi neanche chiamare solo Pro. Cos’è il Pro? Il MacPro? L’account pro di Flickr? No, no, non rende.

E quindi, tutte le volte, decidi che devi scegliere. Se fare lo sborone o far confondere il tuo amato mac. E, nel caso, decidi di fare una volta l’uno, una volta l’altro. Così, grazie al potere della media, tutto si riequilibra. Chiedendo però, allo Zio Steve, di pensare anche a queste cose fondamentali (e basilari) quando sceglie il nome per un prodotto.

Musica e vita

Capita che tornando a casa inserisci in macchina un vecchio cd, uno di quelli che hai ascoltato un sacco di volte e tutte le volte ti emozioni.
Canzoni che hai ascoltato per darti la carica e canzoni che hai ascoltato quando eri triste e depresso.
E all’improvviso ti tornano in mente ricordi che avevi rimosso, associ le note a momenti passati della tua vita.
E all’improvviso le associ a quel che stai vivendo ora.
Perchè hai bisogno di qualcosa che ti dia la carica, hai bisogno di un po’ di musica che si adatti al tuo essere triste, depresso o semplicemente arrabbiato nero.
Perchè, quell’album, alla fine lo adori, dalla prima canzone all’ultima.
E non puoi far altro che farlo ripartire da capo.
E di nuovo felicità, tristezza, energia e tranquillità ti passano per il corpo.
E continueresti così, all’infinito. Perchè forse, quell’album, è come la tua vita.

Tutto quel che vedo (vieni nel mio mondo)

in questa notte d’insonnia ho deciso di avviare itunes.. e il casuale mi ha proposto una dolcissima canzone tratto dall’ultimo album del Kylie.
E mi è venuto in mente che avevo visto il suo video, ma che non avevo ancora scritto nulla a riguardo.
Perchè, a me, i video della Kylie piaciono. Beh, quasi tutti.
Questo, particolarmente.
Perchè riesce a riprendere tutta la dolcezza della canzone con immagini in bianco e nero, in un video tutto sommato piuttosto semplice e scarno, fatto di attimi che sfuggono in morbide transizioni.

E, di video in video, mi son ricordato di un altro video della Kylie. Video che non vedevo da un sacco di tempo, che mi ha sempre affascinato per la spettacolarità degli effetti speciali di moltiplicazione della Kylie e del modo in cui le sue diverse istanze interagiscono tra di loro. E mi son sempre chiesto come cavolo han fatto a farlo.

E, come al solito, i miei post da sonnambulo sono praticamente inutili.

Autoconsiderazioni

Ed eccomi qui come al solito davanti al computer, ad un’ora piuttosto tarda, a scrivere qualcosa. Con Madonna in sottofondo e un’occhio all’altra finestra, col Twitterworld che parla. E, dicevo, son qui a scrivere qualcosa.
Cosa non lo so, anche perchè mi rendo conto che non so scrivere. Non riesco ad essere così profondo come vorrei essere. Non riesco ad essere come altri. Che mi fanno provare grandi sensazioni quando leggo i loro post, sia che li conosca realmente che solo tramite questo mondo in versione 2.0.
Eppure son qui, tra questi byte, col mio blog. Che ultimamente sta diventando un po’ troppo noioso e che non aggiorno più molto spesso.
Forse perchè non so più di cosa parlare.
Forse perchè non riesco a parlare più di me.
Forse perchè non c’è nulla di cui parlare.
Ho deciso di non affidare al finto anonimato del web certe questioni importanti. Perchè è meglio parlarne di persona con il/la diretta interessato/a.
Visto che è l’unico modo per risolvere i problemi.
Sto tentando di essere meno polemico. E questo porta via molta materia prima al mio blog.

E le cose, alla fine, vanno bene. Con la family, a lavoro, con Love.

Certo, tra poco si avvicinerà il momento della scelta che incombe: decidere cosa fare a settembre.
Continuare a lavorare, studiare/lavorare o studiare e basta.
Perchè il lavoro, anche se non è esattamente quello che vorrei, mi piace ed è tutto sommato dignitoso, anche a livello economico.
Perchè di riprendere a studiare, ho paura. Di dovermi scontrare con lo spettro delle mie capacità. Il dover dimostrare di essere bravo in quello che voglio studiare. Perchè, prima, era facile. Mal che andava, potevo dire che non era quello che mi piaceva e mi pesava. E ritorna lo spettro dei ponti sotto cui vivere e il dare ragione a qualcuno.
Perchè abbandonare un lavoro bello e dignitoso, in questo periodo di presunta crisi e pessimismo non mi rende affatto sicuro e tranquillo. Se e quando avrò finito gli studi riuscirò a trovare lavoro? O a 30 anni farò ancora parte del precariato perenne?
E perchè devo scegliere. Arte&Messaggio. O Polimi con Design della Comunicazione. Da una parte una scuola che mi attira tantissimo, di soli due anni, che volendo si potrebbe coniugare con il lavoro, se riuscissi a trovare un monolocale/stanzino a Milano. Dall’altra parte la favoletta del pezzo di carta di una Laurea. Ma l’idea di dover affrontare, di nuovo, l’incubo università. Con lezioni, prove, esami.
Il tutto in attesa che a lavoro mi dicano qualcosa. Perchè non solo c’è il lavoro, ma c’è pure il rischio che mi propongano un contratto a tempo indeterminato.

Con la family, le cose vanno bene.
Sarò io quello più tranquillo e sereno. O forse sono gli orari che mi fanno vedere e comunicare con la family il minimo indispensabile. E così le cose vanno bene.
Però c’è un passo importante da fare.
Una cosa importante da comunicare.
E come tutte le cose importanti, è diffile.
Ma conoscendoli, ho bisogno di una mia ancora di salvezza.
E per questo ho sempre voluto essere indipendente il prima possibile. Proprio perchè ho paura di conoscerli.
E il lavoro e la forse quasi assunzione sono un passo molto importante verso l’essere indipendente.
Giusto per aumentare i miei mille dubbi.

E poi c’è Love.
O forse Love è prima di tutto.
Ma provo invidia nei suoi confronti.
Perchè ha potuto fare quel che ha voluto.
Per l’importanza che ha la sua famiglia.
Per i recenti sviluppi con la sua Mam.
Anche se c’è un minimo di paura latente.
Perchè sogno ad occhi aperto un lungo futuro per il nostro amore.
E paura che questa sostanziale differenza tra le nostre situazioni possa diventare, nel lungo periodo, un peso, un ostacolo.
Ma ho anche paura di affrontare la cosa.
E dover così scoprire se l’ancora di salvezza era veramente necessaria oppure no.

Assurde cronache di ascolti musicali in loop in ore indicibili

E mi ritrovo ancora sveglio, davanti allo schermo del mac.
Passando di mp3 in mp3, sparato a tutto volume nelle bianche cuffiette. E mi ritrovo anche a cercare nuova musica sullo store. E mi rendo conto dell’assurdità di cercare nuova musica cliccando solo sulle copertine che più mi attirano. A passare di genere in genere, perchè la musica che ho, mi va stretta. Mi serve qualcosa di nuovo, qualche nuova scoperta, qualche nuovo motivo che mi faccia compagnia. E passo di anteprima in anteprima per poi tornare ai OneRepublic e la loro Apologize. Che sto ascoltando in loop, dopo averla riscoperta. Potere della social music revolution by Lastfm. O anche solo del vagare senza meta ovunque e comunque nel dispersivo mare della rete. Forse solo per gusto di tirare le 5:05. O anche solo per non andare a dormire, per tentare di sfinirmi fisicamente e non correre così il rischio di ritrovarmi solo soletto con i miei pensieri una volta sotto le calde e vuote coperte. Pensieri di indecisioni costanti, di errori ripetuti e di dubbi futuri.
E non capisco il motivo di appligliarmi così tanto a questo “it’s too late to apologize, too late”. Forse voglio solo sentirmi triste, perchè così mi va. Forse perchè tutto sommato recentemenre era tutto troppo tranquillo e avevo la luna “giusta” da un po’ troppo tempo. E nel frattempo riparte in loop Apologize. Ma questa volta passo. E passo ad altro. Passo ad Adele. Che rimette un po’ di allegria in me.

Should i give up,
Or should i just keep chasing pavements?
Even if it leads nowhere,
Or would it be a waste?
Even If i knew my place should i leave it there?
Should i give up,
Or should i just keep chasing pavements?
Even if it leads nowhere

Tonalità dimenticate e ciclici loop

Forse sono troppo estremista. Troppo volubile. Troppo influenzabile.
Perchè se va tutto bene, sono felicissimo e allegro e contento. E basta che succeda una minima cosa e sprofondo sotto terra. E il bianco si tramuta in nero, di botto.
E svaniscono, di botto, tutti i sogni che mi ero costruito. Svaniscono nello stesso tempo che mi è bastato per crearli. Troppo poco, con troppa fretta.
E forse, questa, non è una bella cosa.
Perchè così non vivo nel mondo reale, coi piedi saldamente per terra. Vivo in un ipotetico mondo fantastico fatto – solo – di bianco e nero, in cui i miliardi di tonalità che stanno tra i due estremi semplicemente non esistono, in cui tutto è classificato per bello o brutto; simpatico o antipatico; questo lavoro mi piace e mi ci vedo tutta la vita davanti a quel mac o cosa cavolo ci faccio qui che mi trattano così male; che figata la serata coi colleghi o meno li vedo meglio sto; calmo agnellino o belva feroce; bianco o nero.
Forse sono troppo estremista. Troppo volubile. Troppo influenzabile.
Perchè se va tutto bene, sono felicissimo e allegro e contento. E basta che succeda una minima cosa e sprofondo sotto terra. E il bianco si tramuta in nero, di botto.
E svaniscono, di botto, tutti i sogni che mi ero costruito. Svaniscono nello stesso tempo che mi è bastato per crearli. Troppo poco, con troppa fretta.
E no, questa, non è una bella cosa.

In circolo

Sono piombato in uno di quei periodi in cui io non posso stare solo con me stesso, perchè io non sto bene con me stesso.
Ma la cosa grave è che non riesco a capire perchè.
E, dall’alto del mio umore sotto i piedi, mi rendo conto che faccio stare male anche chi mi ama e mi vuole bene.
E così io sto ancora più male sapendo di far star male altri perchè io sto male.

Tra tre mesi, come un topo.

Sto diventando un uomo tutto nanna e lavoro.
E inizia a mancarmi buona parte della libertà che avevo prima.
Ma prima o poi deve arrivare il momento di crescere, per tutti. E credo che per me sia arrivato.
Un lavoro nella grande città che bene o male mi porta a dedicargli tutto il mio tempo. Perchè ha orari e ritmi inconciliabili con gli orari e i ritmi del “resto del mondo”.
Resto del mondo che comprende un po’ di cari amici, che per un motivo o per un altro è un po’ che non vedo. Perchè poi va a finire che nei giorni liberi disponibili uno abbia l’umore così sotto terra da non voler neanche mettere il becco fuori di casa, anzi, no, dalla stanza.
Ma l’umore, ora sembra essere tornato a posto.
E il problema umore, ha lasciato il posto ad un altro problema.
Se così si può definire.
E’ che mi sono inserito bene nel gruppo di lavoro, so (come sono presuntuoso!) fare bene il lavoro che mi hanno assegnato e più volte ho dato un mano anche in altri campi. Dal risolvere qualche problema ai Mac o qualche consiglio su come risolvere qualche strano impiccio by quark, illustrator o photoshop.
Al momento sento su di me la fiducia dei capi, soprattutto ora che non ho neanche più un “responsabbbile”. Ma sento su di me anche delle responsabilità. Il cui peso si farà veramente sentire quando, per la prima volta, me ne dovrò stare solo soletto in ufficio ad attendere l’articolo sulla partita. E chiamare la tipografia per la conferma delle pagine. Sperando che non ci sia nessun problema.
Però inizio a pensare al mio futuro, a chiederemi che cosa succederà alla fine di questi tre mesi. Mi chiederanno di restare? Mi offriranno un buon contratto? Io, ora, ho già paura. Ho paura di dover decidere, come sempre. Perchè come sempre dovrò decidere di lasciare qualcosa che conosco per qualcosa di ignoto di cui non so affatto se sarò adatto o meno. E mi sento già in trappola. Tra la paura di lasciare e deludere qualcuno. E quella di restare e deludere altri.

Due stagioni di 24 ore

Come avevo già scritto, sono arrivato alla fine di una strada. Sono riuscito a mettergli un cartello di divieto di accesso per auto convincermi che non è fattibile proseguire e sono convinto che sia la cosa giusta. Sono bastati qualche piccolo passo indietro, una breve pausa di riflessione di famiglia e qualche aggancio che – purtroppo – in Italia serve sempre.
E così, mi trovo a 48 da un momento importante. L’ingresso in un mondo tutto sommato a me nuovo, in cui devo dimostrare, con umiltà, quel che sono capace di fare. E imparare tutto l’imparabile.
Eppure ho paura. Ho tanta paura.
Perchè è un momento definitivo.
Definitivo per i sogni e le speranze che altri riponevano in me.
Definitivo perchè indica la sconfitta che ho subito.
Definitivo perchè fa diventare il mondo dei miei sogni e delle mie speranze decisamente più tangibili e meno illusorie.
E fa paura. Proprio perchè prima erano miei sogni, che modello a mio piacere.
Ora diventa realtà, in cui io sono solo una delle tante, troppe comparse. In cui il mio ruolo potrà essere solo marginale e poco importante.
Mi obbliga ad uscire fuori dalla corrente da cui mi sono lasciato trascinare (tranne poi criticare e incolpare altri, quando potevo) e nuotare per conto mio.
E mi obbliga a scegliere.
Perchè ora si parte. Con tre mesi.
Tre mesi che, probabilmente, influiranno pesantemente sul mio futuro.
Potrebbero offrirmi un lavoro e uno stipendio per il prossimo futuro.
Potrebbero portarmi verso un nuovo percorso di studi.
Potrebbero farmi capire che è meglio che il mio sogno rimanga un sogno e trovi un’altra strada se voglio pensare di sopravvire.
Paura.
Paura e pessimismo.