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Ripensandoci

È che stavo pensando a quella telefonata.

E mi è venuto in mente quando ho ricevuta una chiamata simile qualche anno fa, in quel pomeriggio di un martedì 19 giugno.

Ero solo, in segreteria. Esco fuori perché lì si sentiva poco.

Il sole batteva sul campo e si rifletteva sul cemento.

Non riuscivo a credere, capire, pensare. Un errore, una folle decisione, un ultimo volo.

E alla fine Lui, che oggi non c’è più, mi era stato vicino, molto vicino in quell’occasione.

Ma lui ora non c’è più.

E mi si è riaperto un cassetto che mi si riapre sempre tutti i martedì 19.

E ora penso a lui e penso a G.

Penso soprattutto a G. Il funerale, la lettera letta da parte della classe, l’ipocrisia della direzione del Liceo, la processione di macchine fino a quel cimitero, l’abbraccio straziante di suo padre e le parole sussurate con voce straziante, lo strano rientro a scuola dopo l’estate, le assurde minacce del professore (di religione) attenti che sennò fate la fine di quello lì, quel colpo al cuore guardando il vuoto solo 3 mesi fa c’era il suo banco.

Quando il telefono suona, a volte è meglio non rispondere

È che certe notizie di cadono addosso così, all’improvviso.

E non sai come prenderle.

Dici un ah, cavolo, mi spiace.

Così, d’istinto.

Eppure poi ci pensi.

E continui a pensarci.

A quanto ti era stato vicino in momenti difficili, alle lunghe chiaccherate, ai consigli, a quanto lo apprezzavi e apprezzavi l’energia che ci metteva per la comunità.

Poi, un giorno, la decisione. Se ne va dal paesello e cambia vita.

Ho nel cassetto una lettera, di quelle scritte a mano, che però non ho mai avuto il coraggio di spedergli.

E ora non si può più. Cioè, potrei. Ma ormai non potrebbe mai riceverla, aprirla, leggerla, rispondermi.