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La fine della pioggia è l’inizio del temporale

Ho finito Heavy Rain, in pochissimo tempo. Praticamente in due giorni, da quando è arrivato.

E se non lo giocate, non potete capire: un tragico evento che ti catapulta nel vivo della storia, il batticuore, i dubbi, le domande, le scelte, il senso di ansia perenne dato da questa pioggia incessante che continua a cadere, scandendo il tempo.

Il fatto è che Heavy Rain ti tratta sia come spettatore sia come giocatore: i dubbi e le domande sono sì dovute allo svolgersi della trama, ma la forza narrativa di questi stessi dubbi e domande vengono fuori proprio quando si interagisce con il gioco e bisogna operare delle scelte, influenzando lo sviluppo della trama e del gioco stesso. E questo genera meccanismo dipendenza, genera la necessità di sapere subito, ora, adesso come andrà a finire.

Ma una volta finito, appare la necessità di rivivere le stesse scene, ritornando sui propri passi e provare a cambiare qualcosa. Prendere decisioni diverse e subirne le conseguenze. Rivivere le stesse scene significa attribuire nuovi significati a gesti e movimenti. Significa pensare al destino beffardo creato dagli sceneggiatori o a quanto profetiche si riveleranno determinate frasi e parole. E ogni volta è un nuovo colpo al cuore, un cambio di prospettiva che spiazza.

E come sintetizza perfettamente Federico su Insert Coin:

Indeed, the real game starts when you finish it the first time. Then, the true core mechanic shows up. It’s all about exploration. Exploration of a non-physical space, but of sides and possibilities of a story.

Heavy Rain

Heavy Rain. Un gioco che forse non si può più definire come tale. Forse un lungo film interattivo, ma la definizione non è poi così importante.

Ciò che conta è il contenuto. E il contenuto, per ora, c’è.

La trama, che si modifica a seconda delle scelte e dell’abilità del giocatore di portare a termine determinate sequenze, mi ha già fatto sobbalzare sulla sedia un paio di volte.

Il cambio netto di ambiente delle prime scene, il senso di ansia che piano piano sale sempre più, la pioggia insistente che non ci abbandona per un istante. Le scelte da prendere, tra la presunta “risposta corretta” in senso assoluto o quella che invece darebbe il personaggio di turno. La frenesia di quelle sequenze d’azione in cui un paio di tasti non premuti possono portare a epiloghi tragici per il protagonista, ma non per il gioco, che invece continuerebbe semplicemente su altri binari, con un’altra trama, verso un’altro possibile finale.

E così ti trovi a ripensare alle decisioni prese e a come una determinata scelta possa avere influito sulle scene successive. E la curiosità di voler tornare a qualche capitolo precedente e provare a cambiare le carte in tavole.

C’è questo senso di angoscia costante, perché lo sai che bisogna sbrigarsi per trovare il killer dell’origami. Tutto si svolge abbastanza lentamente, aumentando ancor di più l’angoscia e la necessità di trovare la soluzione del caso, ma l’immersione è tale che non ci si rende conto del tempo che passa.

Non c’è stacco tra parti narrative e interattive, tutto è talmente miscelato da non capire che si ha perso il controllo del personaggio, che sta continuando autonomamente o, viceversa, che abbiamo di nuovo il potere di comandare gli eventi.

E completare l’immersione totale negli eventi c’è la confezione e il pieghevole. Veramente ben fatto a livello grafico: le istruzioni di gioco sono scritte con lo stile dell’assassino, il ritaglio di giornale sull’architetto vincitore di un prestigioso concorso, la scheda personale dell’agente dell’FBI, la pubblicità del dective, le foto della fotografa. Però è illeggibile: forse è un problema di qualità di stampa, ma il fondo è troppo scuro rispetto al testo e i font calligrafici hanno un corpo molto piccolo e uno spessore della linea notevole; l’inchiostro sbavato completa l’opera. Inoltre in una pagina sono addirittura assenti tutte le lettere accentate, come se fossero saltate al loro posto, spazi vuoti.

Sono errori a mio avviso gravi, soprattutto se commessi da un’attore come Sony, che ha notevoli risorse a disposizione. Errori che distruggono l’ottimo lavoro di creazione di un ambiente realistico intorno al gioco e lo fanno invece passare per un goffo tentativo mal riuscito.

Peccato, veramente. Ma il gioco, in ogni caso, rimane pur sempre un capolavoro.

Wanna wanna wanna!

Allora, questa maledetta PS3 si è portata dietro troppe spese.

Perché ora voglio solo blueray e non più i dvd che fanno così retrò e SD.

E nello specifico in questi giorni sono usciti Bastardi Senza Gloria, Up! e Ponyo (che però i miei mi hanno già regalato, ma vogliono che li rimborsi perché non pensavano che costasse così tanto -.-).

E poi ci sono miliardi, troppi giochi da comprare. Molti direttamente in digital dowload (per la PS3 ci sarebbe Flow, PixelJunk Shooter ed Eden, oppure Wipeout HD che comprerei anche solo per la colonna sonora e le due espansioni – Metal Gear Solid e Pirati dei Caraibi – per Little Big Planet; per Wii ci sarebbe Lost Winds: Winter of Melodias), ma altri da prendere obbligatoriamente su disco. Per Wii mi manca ancora New Super Mario Bros Wii, mentre su PS3 la scelta è troppa! C’è Prototype (che però potrei farmi prestare dalla F., no?), Bayonetta (stupendo!!!), inFamous (bellissimo, è pure in Platinum, però non so se lo voglio perché non sono capace di giocare con il mirino e i due joystick) e poi quella piccola chicca cinematografica di Heavy Rain (che però uscirà il 24, mentre Blockbuster se ne frega e lo metterà in vendita a partire dal 10). E poi ci sarebbero alcune vecchie uscite da recuperare, come Assassin’s Creed 1 e 2 o Prince of Persia).

Che poi, in realtà, già che parliamo di spese, devo ancora comprarmi la TV nuova (questa), ma prima bisogna convincere i miei a spostare i mobili del salotto, e l’ampli nuovo (questo), visto che il povero home teather della Samsung sta tirando le cuoia (o meglio, la sua ventola. Che si era rotta già a 14 giorni dall’acquisto, bruciando la scheda madre, è finita in riparazione – per 40 giorni – e da quel momento è sempre sempre sempre rumorosa e rumorosa e rumorosa).