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Triangolando per l’Italia

Che poi in questa epoca di social network in cui tutto è istant, va a finire che ci si dimentica del proprio blog e di scrivere qualcosa.

E così, dopo circa 10 giorni sono ritornato a casa, dopo una vacanza troppo breve per i miei gusti.

Prima tappa in quel di Torre del Lago dove un amico ci ha ospitati nella sua meravigliosa Laverda Ascot 480cs.

Alla fine, prima vera esperienza in campeggio. E devo dire che mi ci potrei abituare, soprattutto se vissuto così: la calma, la tranquillità, il prendersi i propri tempi.

Mare, di quelli belli, in una spiaggia non attrezzata. Sole, abbronzatura controllata, tramonti meravigliosi.

Serate disco, una sera sì e una no. Un po’ una delusione, pensando a chissà cosa. E invece erano “solo” famosi locali che d’estate rivolgono le casse alla strada e la gente balla lì.

Complimenti a chi gestiva i videomix del MamaMia, ma il dj allo Stupid!A era sempre ridicolo. Se non sai mixare le canzoni, bello mio, cambia mestiere. E lasciamo poi perdere la selezione musicale. Sempre sempre sempre sempre quelle. E manco quelle belle.

Mi son reso conto di provare veramente fastidio per una certa tipologia di astanti, per il loro modo di fare, di muoversi e di comportarsi. Eppure, non dovrebbe essere così, giusto?

Mi ha fatto impressione invece vedere la folla intera urlare e muoversi a ritmo mentre partiva una delle cosidette “sigle”. Ero abituato alle animazioni da villaggio turistico, ma così è troppo, veramente. In compenso ho scoperto dell’esistenza di Redefinition degli Infernal, che è spettacolare.

E poi, quel senso di ansia, oppressione e soffocamento provato l’ultima sera. Ma eravamo pur sempre in una discoteca all’aperto, no?

Il ritrovarsi con una (web)amica di Milano, passare con lei (+ ragazzo) un paio di pomeriggi in spiaggia di calma e relax. E poi la cena, con un altro famoso internettiano. Di quelle cose che ti fanno bene e piacere, insomma.

E alla fine, una settimana di mare e relax e divertimento è corta, cortissima.

Continuo a provare odio per Trenitalia, il suo sito, sistema di prenotazione, visualizzazione di prezzi e orari, ai frecciargento che fanno 20 minuti di ritardo su 2 ore di viaggio, ai treni carrobestiame, a come non riescano MAI a spiegare agli stranieri come funzionano gli InterRail, ai posti prenotati e ovviamente occupati.

Poi si arriva a Padova, ci si ricorda dell’ottima ospitalità e di quanto è piacevole passare il tempo con certi amici.

La trasferta a Treviso di domenica, la tortura del dover preparare quella macedonia (Simone, ricordatelo: mai più, mai più), altri amici, altri ricordi. Un pranzo, le chiacchere, la solita pesca, la cena, la stanchezza.

E il ritorno nella triste milano, la corsa per la coincidenza, l’esser chiuso fuori di casa perché qualcuno è partito (peccato per la litigata per lasciare a casa le chiavi che, insomma, se me le rubano poi ci entrano in casa) e il rimediar piacevolmente a casa di qualcun altro.

Una giornata strana, di quelle che vorrei si ripetessero presto e possano diventare routine di vita futura.

Toccata e fuga

Padova.

L’acqua, tanta e troppa.

Una lunga coda per un “avanzare, gente, avanzare”.

Il pranzo, i nipotini, l’acqua tanta e troppa.

La cara Miss Marple e il giro per Padova e i negozi e la cioccolateria, il tram che andava nonostante lo sciopero, l’acqua tanta e troppa.

L’ottima cena in tre, Farmville e le due puntate più lunghe della storia delle desperate.

La stanchezza tremenda, il letto viola comodissimo e il sonno che è arrivato subito.

Il risveglio, con calma, le chiacchere, l’attesa per gli altri ospiti e il superbo pranzo in cinque.

Il viaggio in stazione, vedendo altro di una Padova che mi piacerebbe vedere ancora e ancora.

Il bigliettaio che confonde nome e cognome.

Il regionale e la sua massa di avventori sullo stesso binario del Freccia Bianca, l’ansia e il treno in perfetto orario.

I saluti agli amici e due giorni che sono girati.

Nonna & Diva 2009 Educational

Sinceramente, c’è troppo da dire di questi 3 giorni in quel di Padova/Venezia.

Quindi non so se riuscirò a scrivere un post sensato.

La prima tragedia con i treni arriva salendo sul regionale che ci porta a Milano. Caldo, puzzolente, con i sedili lerci. Mi ha fatto già rimpiangere di non essere partiti in macchina. Fortuna che poi il trasbordo sull’Eurostar a Milano mi ha fatto ricredere, seduto comodo, con una presa a cui attaccare l’iPhone e con una temperatura decente. Tale eurostar, su cui abbiamo incontrato Ribaldo, arriverà poi a Padova con 38 minuti di ritardo, su 125 previsti di viaggio.

A Padova ci accoglie l’Anziana Miss Marple, che ci porta subito sul favoloso, silenzioso e congelante tram azzurro. E’ ormai sera, quindi vediamo una Padova buia e silenziosa, ma non passa inosservato il monumento dedicato all’11 Settembre di Daniel Libeskind.

La casa del nostro ospite è come dovrebbe essere: mobili antichi, alcuni impreziositi con splendidi lavori di decoupage, collezioni di scatole di latta (twinings!) un po’ ovunque. E quella meravigliosa camera da letto padronale con il copriletto (di un letto comodissimo, tra l’altro!) viola.

Inutile dire che l’Anziana si è prodigata per noi in cucina e ha preparato delle delizie.

Serata in casa a ciacolare finché non sono più o meno stramazzato nel letto, fino alla mattina dopo.

Partenza per Venezia, con incontro combinato sul treno con Edgar. Siamo quasi in dirittura d’arrivo a Santa Lucia quando vediamo, sul treno vicino al nostro, un Poto spiaccicato sul finestrino. Chissà, magari stava aspettando qualcuno…

Intravedo da lontano il ponte di Calatrava (che nessuno mi ha portato a vedere da vicino, e vi informo che me ne ricorderò a vita!) e poi corriamo verso il cuore della città, alla ricerca di un posto conosciuto dall’Anziana in cui sfamarci.

In tale posto mangiamo sanissimi cibi 100% fritto, 100% gusto.

Successivamente tentiamo di raggiungere la Biennale, con una cartina in mano al Byb (cosa assai pericolosa). Della Biennale… beh! L’unica cosa da dire è che vale assolutamente la pena di visitarla, magari con un po’ più di calma. Molte opere interessanti, alcune abbastanza inutili.

Poi l’incontro con Rosa & Tino, alla statua di Garibaldi, mentre Poto ci aveva già abbandonato per doverosi impegni sociali. Si tenta di andare ai Giardini, dove c’era un’altra parte dell’esposizione della Biennale, ma scopriamo che avrebbe chiuso nel giro di mezz’ora e non ci sentiamo di obbligare R&T a pagare 18 euro per mezz’ora di mostra, ripromettendoci di visitarla un’altra volta.

Così ci adagiamo sui tavolini di un bar lì vicino per una sana caraffa da un litro di spritz, mentre Ribaldo e Edgar invece visitavano i Giardini.

Poi, ovviamente, ci si perde. Si corre a recuperare i 2 persi inseguendo chissà quale enorme nave da crociera (non era più facile dire: girate a sinistra alla fine della via? :P).

E alla fine, cerchiamo il posto perfetto dove cenare. Grazie alle nuove tecnologie riusciamo a trovare il ristorante/osteria la Vedova, che era ovviamente piena. Giriamo ancora un po’ per i calli e troviamo un altro ristorantino interessante, se non per i bambini urlanti che lo popolavano.

E poi boh, la corsa verso la stazione e il casino per fare i biglietti per il ritorno, visto che i posti su praticamente l’unico treno rimasto erano esauriti. Facciamo il biglietto per un treno di pari classe ma di un altra ora, giusto per evitare la multa e poi tentiamo di prenderlo. Tale treno era un intercitynight per Munchen. Tante carrozze tedesche e una unica carrozza italiana. L’unica carrozza italiana scoppiava, visto il numero di persone in piedi.

Il treno parte, molti scendono a Mestre e veniamo cacciati dalla parte tedesca da una gentile signora nana e antipatica che ci ha detto chissà cosa. Torniamo così nella parte italiana, assieme ad un duo di vicentini alquanto ubriachi. Lei, oltre ad essere ubriaca, è in lacrime, perché lui ha regalato delle rose a lei, ma anche ad un altra e allora lui, per sdrammatizzare, decide di regalare ad ognuno di noi altre rose, che sono sul pavimento del treno, schiacciate da valige, piedi e qualsiasi altra cosa. Inutile poi tentare di fare capire che noi scendevamo a Padova, loro dovevano stare sopra fino a Vicenza e che Vicenza era prima di Verona. Alla fine non capivano più nulla e volevano scendere prima a Padova poi a Verona. Povero Edgar che si è dovuti sorbire più di noi.

Tornati a Padova, altro giro in tram blu silenzioso figoso ma congelante fino alla nostra dimora temporanea. Poi gli altri si sono messi a fare discorsi un po’ troppo culturali per i miei gusti, tanto da convincermi a fare l’asociale e dormire, visto che ero stremato da questa mia prima volta a Venezia.

Il giorno dopo, sveglia con la doverosa calma, altro ottimo pranzetto e, una volta preparati gli zaini, siamo andati a vedere la mostra sul Signorini allestita a Palazzo Zabarella. Mostra interessante, un allestimento ben curato (altro che quelli di Palazzo Reale!), solo che il Signorini non è esattamente il mio genere, anche se molti quadri erano notevoli.

Salutiamo Ribaldo, che avrebbe preso l’Eurostar prima del nostro, mentre noi finiamo con calma il giro della mostra e dopo facciamo un giretto per Padova, piena di vita per la festa delle associazioni o una cosa del genere.

Decidiamo di sederci ad un bar gelateria, che bocciamo per il pessimo servizio, la panna acida che hanno usato per il gelato e per la clientela decisamente autoctona decisamente troppo tirata. Aggiungiamo anche il prezzo stratosferico (15 euro per 3 coppette) e sembrava quasi di essere a Milano.

Arriviamo poi in stazione, attendiamo il nostro Eurostar e scopriamo via SMS dal buon Ribaldo che loro sono bloccati a Rezzato, prima di Brescia, visto che un ragazzo è stato investito dal loro treno.

Prevediamo notevoli ritardi… ed è così. Partiamo giusti da Padova, ma iniziamo a rallentare lungo la linea. Nel frattempo scopriamo che il ragazzo si era suicidato e prima del gesto aveva avvisato i genitori via sms.

Tristezza per lui, per quello che l’ha spinto al folle gesto, ma anche un po’ di noia nei confronti di come Trenitalia ha gestito l’emergenza. Il nostro treno è stato fermo prima mezz’ora, poi 20 minuti, ufficiali. Ma, non si sa come, questi 30+20 erano diventati già 69 minuti di ritardo. A Vicenza già sono saliti passeggeri che avevano prenotato sull’Eurostar successivo e si son ritrovate in piedi. Ma a Verona (o non ricordo dove) è successo il peggio, quando sono saliti passeggeri di un regionale che era stato soppresso. Così il treno è stato declassato e, oltre al notevole ritardo, ha fatto tutte le fermate fino a Brescia.

A Brescia, poi, è ritornato ad essere un diretto fino a Milano e qualcuno è sceso, ma erano ancora sul treno quella coppia di strani personaggi che ha passato tutto il viaggio al telefono a dire alla madre, al padre, all’amica, alla suocera e al suocero quanto Trenitalia facesse schifo, come non sanno gestire le cose, che erano su un vagone che sembra quello dei deportati verso i campi di concentramento ed io, per evitare di sentire e incazzarmi, sinceramente, mi son sparato Maaaadanna a tutto volume.

Alla fine arriviamo a Milano con 129 minuti di ritardo (su 125 di viaggio previsto). Pausa bagno (che proprio non ce la facevo più e in treno era impossibile muoversi), pagando un euro e passando per tornelli manco fossero quelli della metro.

Poi alle macchinette automatiche per fare i biglietti per il ritorno e poi di corsa al McDonald fuori Centrale per prendere qualcosa da mangiare d’asporto, visto che erano le 22 e passa.

Ritorniamo in centrale, affrontando anche una scala mobile immobile (argh!) e saliamo sul treno, ovviamente pieno.

Il treno parte, noi mangiamo, messaggiamo un po’ tutti avvisando della situazione e, alla fine, mi è venuto un mal di testa tremendo, che non mi ha abbandonato fino a che non mi sono addormentato nel mio lettuccio.

E ora, ci sarà un qualche modo per chiedere un rimborso a Trenitalia per questi ritardi?