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Sandra portami al mare

Non so perché, eppure tornando verso casa dopo una bella festa di compleanno, con la musica di sottofondo e un B. addormentato sul sedile di fianco, mi sei venuta in mente tu.

E mi sei venuta in mente pensando che 4 anni sono passati in fretta.

Quattro anni fa eravamo entrambi soli. Per un motivo o per un altro ci eravamo allontanati dai rispettivi gruppi di amici e ci siamo ritrovati. E si stava bene insieme. Io ero sparito, avevo cambiato scuola, non avevo finito il Liceo dove l’avevo iniziato. Poi ero diventato contro voglia uno studente di economia. Tu invece eri alle prese con l’anatomia.

Pensandoci, quattro anni fa, in questo periodo, ero sempre a casa tua. Per tanti motivi, ma anche vedere tutte le partite dell’Italia. Non che il calcio mi abbia mai appassionato, eppure per la Nazionale un’eccezione si può sempre fare.

E poi è bello e divertente vedere le partite con gli amici. E mangiare qualcuno dei tuoi tiramisù.

E mi ricordo anche quella serata, quella della vittoria. La felicità e la gioia. E poi in macchina, via verso Milano, ad intasare il centro. Fare strade alternative, trovare parcheggio e sentire gli amici della Cattolica.

Già, conoscevi alcuni miei cari amici dell’università. E sempre quell’anno, se non sbaglio poi siamo andati in vacanza proprio con uno di loro, A. Era assurdo come con A. mi trovassi così a mio agio, riuscendo a parlare di cose di cui non avevo parlato a nessun altro, neanche a te.

È stata una vacanza strana. Mi ricordo del mare, del sole del primo mattino, con la spiaggia ancora vuota, del condizionatore puntato sul mio lettino e dei pinguini che giravano per la camera quando tu regolavi il termostato.

Ma mi ricordo anche delle tante persone conosciute, degli scambi di cell e di email e delle amicizie richieste su facebook. Scoprire che il mondo è minuscolo e conoscere in Tunisia una piccola genietta laureanda in Cattolica, in Economia.

È stata una vacanza strana, perché alla fine è stata una delle prime volte in cui mi sentivo libero e tranquillo. Lontano da casa, con la sicurezza data dalla vicinanza di A. e solo un’ostacolo da superare: riuscire a parlarne con te. E gli scazzi e i sotterfugi e gli stratagemmi per capire se avevi capito, perché per me, da zero, era veramente difficile parlarne, con te, che ti conoscevo da una vita (beh, vita no, ma 6-7 anni sì).

E non so com’è successo, dev’esserci stato lo zampino di qualcuno. E forse anche qualche mio scazzo, visto che l’idea di essere il gossip del momento del gruppone che si era formato, mi dava veramente fastidio.

Ma poi niente, alla fine è basta parlarsi e tutto è andato a posto. Ed è arriva la fine della vacanza, di quella vacanza e ho lasciato per la seconda volta quel villaggio vacanze con un magone tremendo.

Poi è successo che tu, imperterrita, in quel villaggio sei tornata pure l’anno successivo. E lì hai conosciuto due ragazzi, uno dei quali ora è il tuo ex, l’altro invece continua a girarti attorno, ma alla fine non so bene cosa sia successo.

Il tuo ex ora è mio amico, uno di quelli a cui tengo di più. E trovo assurdo come riesca ad organizzare di vedersi più facilmente con lui che non con te, da quando avete rotto. Ma in fondo, è da quando l’ho conosciuto che è sempre stato così.

Ed è da quando avete rotto che in qualche modo ci siamo allontanati. Forse perché io non sono più solo e pure da un bel po’. E tu, boh, non so, non ho mai capito e non mi hai mai detto nulla, neanche quando riusciamo a beccarci in chat. Mi sembra però che tu sia riuscita a farti un giro tra amici e conoscenti, riuscendo a superare quel guscio di timidezza che ti ha sempre contraddistinto. E alla fine, diciamocelo, ad entrambi piace un po’ essere inseguiti e rincorsi e se aspettiamo che uno dei due organizzi per vedersi, stiamo freschi.

Però boh. Questi pensieri sono strani, dopo una festa di compleanno.

Ma forse neanche tanto, perché era la festa di compleanno della ragazza del tuo ex.

O forse perché ci ha pensato il casuale dell’iPod a tirar fuori Sandra, usata come sigla dall’animazione per quella vacanza.

La finestra aperta

Sembra stia arrivando il caldo estivo.

La finestra è aperta ed entra il fresco della notte.

Io, ormai, son già sotto le coperte.

Litigo con qualche insetto, attirato dalla luce dello schermo, che rischiara la stanza buia.

Da fuori si vede solo un fievole bagliore dei lampioni delle strade alla fine dell’isolato, che disegnano le sagome delle case che si stagliano davanti a loro.

Tutto tace, a parte le mie dita che corrono veloci sulla tastiera.

È una notte bellissima, di quelle che vorresti stare sveglio e osservare e sentire il nulla.

Ma niente, è stata solo un’illusione.

Un’illusione rotta dal rumore di un aereo in atterreggio.

Ma no, ora si allontana, quasi non si sente più e la situazione si è ripristinata.

Poi due rintocchi di campana, in lontanza.

Guardo l’orologio e mi accorgo che sono un po’ fuori orario.

E forse, è anche l’ora di chiudere tutto, appoggiare la testa al cuscino e lasciare che questa notte stupenda mi accompagni nel mondo dei sogni.

Free

Where did we go wrong
Where did we lose our faith
My brother is in need
But can he depend on me
Do you think if one of you tried
Maybe you could find
A better friend than any other
If you gave more than you took
Life could be so good
Come on and try
Now’s the time

‘cause you’re free
To do what you want to do
You’ve got to live your life
Do what you want to do

Do what you want
Do what you want to do

Are we all strangers
Does anyone really care
Deep down we’re all the same
Trying to hide our pain
You think you can never trust another
‘cause they’re all out to get ya
We have to live in this world together
If we open up our hearts
Love can finally start
Come on and try
Now’s the time

‘cause you’re free
To do what you want to do
You’ve got to live your life
Do what you want to do

Bridge when you’re down and you’re
Feeling bad
Everybody has left you sad
Feels like no one will pull you through
It’s your life whatcha gonna do
Make that change let’s start today
Get outta bed get on your way
Don’t be scared your dream’s right there
You want it reach for it

‘cause you’re free
To do what you want to do
You’ve got to live your life
Do what you want to do

Do what you want
Do what you want to do

Scelte e cambiamenti

Credo di essere arrivato al punto di non ritorno.

Sono giorni che continuo a pensarci e per quanto forse illogico e irrazionale sto seriamente pensando di dare luogo ad un grosso cambiamento.

È che lì in ufficio ogni giorno è sempre più pesane. Routine, sempre le stesse cose, mai nulla di nuovo lavorativamente parlando. Sempre quelle 72 pagine da impaginare, sempre uguali, poi controlla le pubblicità e poi spedisci e poi fai i controlli. Nulla di nuovo da imparare, nessuna nuova esperienza da fare, nessuna nuova sfida da affrontare.

Solo tanta bile da gestire e dal punto di vista umano, beh, forse ho già speso troppe (brutte parole).

Poi sta riiniziando l’uni. E da una parta mi sta venendo un po’ meno la voglia (o forse la forza di) impazzire come l’anno scorso nelle consegne, né voglio finire a saltare esami o rovinarmi la media. Sono un maledetto perfettino in queste cose, per quanto mi sia sempre ripetuto che massì, mi accontento anche di un 18, l’importante è laurearsi.

Invece no. Mi sono accorto che il bello del mio corso di laurea è stare con gli altri, lavorare insieme, studiare ed approfondire, tutte cose precluse dalle mie 32 ore in office.

Già si preannuncia un corso che non potrò mai seguire (sarebbe sociologia con approfondimenti sulla comunicazione e sui media e mi attira molto!), oltre ai due laboratori che prevederanno lavori di gruppo.

E così, se da una parte non ho praticamente motivi o incentivi per rimanere (se non economici), dall’altra ho un po’ di motivi per andarmene, non ultimo un po’ di ritrovata serenità, che soprattutto in questi ultimi giorni mi manca. E se ne sono accorti chi mi sta vicino e quel paio di colleghi lì dentro a cui tengo.

Eppur con la serenità non si va da nessuna parte, né si campa.

Ed è sul campare che la mia razionalità per un momento riaffora. Ci sarebbe un piccolo progetto estemporaneo, uno a medio/lungo termine su cui punto tantissimo e uno quasi immediato, dalla buona rendita, ma dalla durata/sostenibilità ignota.

Boh.

Devo pensarci.

E parlarne con qualcuno…

Piani di conquista del mondo [telecomunicativo]

Bene. Tre ha prorogato di un altro mese la favolosa promo Tutto 3.

Quindi penso di chiedere il passaggio della scheda Tre (attualmente una 12/12) a Wind (gratis, ho già una scheda Wind 9, ma così facendo mi gioco una sicura 9/9?) e poi chiedere il passaggio da Wind a Tre, attivando la Tutto 3 (costo: 10€ per 33€ di traffico) contestualmente alla Super 7 (una 7/15 con autoricarica. Non me li fanno pagare i 9€ di cambio piano, vero?).

Quindi, se tutto va bene, avrò ricariche raddoppiate a vita, tariffa Super assicurata (visto che comunque dovrei ricaricare tutti i mesi per la Naviga 3) e per un anno, un po’ di sms e chiamate gratis verso i Tre.

E se riesco nel mio piano malvagio, la scheda vodafone tornerà dormiente.

Unico problema: ottenere la portabilità a Wind entro la fine del mese, per riuscire ad effettuare la richiesta della Tutto 3 🙂

Lost

Non c’è dubbio.

È la mia specialità.

Quella di prendere, perdere e fermarmi.

Immobilizzato, come se nel momento in cui il cervello si accende, tutto il resto non ha più energia per fare nulla.

E così, partono i pensieri.

Su oggi, ieri e domani. Sulle cose da dire e da fare. Sui sogni da realizzare e quelli infranti. Sugli errori, sulle speranze. Sugli amici, sui colleghi, l’ufficio e l’uni. Sul tg e sui giornali, su di me, me e me. Di quanto sono bello e brutto, stupido e intelligente. Di come potevo gestire meglio quella situazione o di come invece sono stato bravo a gestirla. Sulle frasi dette e pensate. Sugli amici di oggi e quelli di ieri. Sugli amici vicini e quelli lontani. Soprattutto quelli lontani, che non vedo, non sento, mi mancano. Ma mi manca anche chi è molto più vicino.  Pensieri su come organizzare la giornata successiva, quando fare le varie consegne, sul freddo e su quanto è bello l’inverno. Penso a frasi, lette, sentite, che rimangono intrappolate e vengono lette, sentite, di nuovo, all’infinito. Per sviscerarne il significato più recondito, per imprimerle indissolumilmente o semplicemente per farle andare via, ma rimangono invece blocccate.

E tutto non ha senso. Perché è la solita inutile accozzaglia di pensieri che si scontrano. Senza un perché. Perché è inutile pensare a quel che non c’è più o a ciò che non si può ottenere. Perché è inutile perdere tempo a rimuginare su cose non dette, non fatte o ormai dette e fatte male, sbagliando. Perchè non ha senso organizzare il futuro se poi non si riesce a tener fede neanche al più semplice todo appuntato su un post-it volante.

Eppure succede. E quando succede, va avanti all’infinito. Percéè sono troppo sensibile all’esterno. Tutto viene immagazzinato e rielaborato. E perdo tempo, imbambolato. Oppure non dormo, fissando il soffitto, mentre mi accorco, con orrore, dei pensieri che corrono.

E non ha senso, ora. Perché fa freddo, è tardi, è tempo di andare sotto le coperte.

Però non ne ho voglia. Oppure ho paura. Paura di quel che succede prima del sonno, paura di chiudere un giorno in cui poco é stato fatto, paura di avviarsi verso il domani.

Niente sonno

Ovviamente, non riescivo a dormire.

Così, per conciliarmi il sonno, ho messo su un episodio di Nip/Tuck. Uno, due, tre. Fino ad arrivare alla fine (drammatica) della serie. Giusto per tirarmi su il morale.

E ora che è finita, ora che ho buttato via ore preziose di sonno prima dell’esame di domani, non riesco – ovviamente – ancora a dormire.

Perchè non faccio altro che ripensare e rivedermi lì sopra, in corridoio. Sento di nuovo il gelo ai piedi e l’angoscia per il mio immobilismo.

Che forse non avrebbe cambiato nulla, ma mi detesto.

Ho la sensazione di aver sbagliato a non fare nulla.

E mi odio, profondamente, perchè, come al solito, lascio che le cose succedano, senza tentare di influenzarle a mio vantaggio, per poter tentare di vivere meglio, per me e per tutti quelli che mi stanno intorno.

Gomitoli e matasse

Sono stufo e stanco. Molto stanco. Inizio ora a sentire la stanchezza di questi ultimi e dei precedenti giorni lavorativi e non vedo l’ora di staccare, prendere una pausa.

In questi giorni mi sento deluso, completamente deluso da certi colleghi, da coloro che mi stanno intorno per tutta la giornata lavorativa.

Veramente, sono pochi, in quell’openspace quelli che prendono sul serio il proprio lavoro. Responsabilità date a chi non se le merita e non fa nulla per meritarsele, se non demandare ad altri il lavoro, parlare al telefono (preferibilmente dell’ufficio) ininterrottamente con amici e parenti (possibilmente urlando). E, così, di persone, ce ne sono due.

Un menefreghismo totale su certi aspetti, l’incapacità di organizzarsi, di dare le priorità, di rispettare i propri colleghi o anche solo tenere un atteggiamento consono al luogo di lavoro. Che può pure informale e tutto quello che vuoi, ma usare certe volgarissime espressioni, sempre, ogni poco, urlando.. insomma, non è il massimo. Soprattutto se sei una donna.

Fortunatamente, per questo lunghissimo speciale estate, sto lavorando praticamente solo con i miei giornalisti. Riusciamo ad organizzarci bene il lavoro, riusciamo a coordinarci e l’uno – quando può – da’ una mano all’altro. E sono contento di come lo stiamo portando avanti. Credo stiano venendo fuori delle pagine veramente carine e ne sono soddisfatto.

Però capita che dopo tutta una giornata a curare lo speciale, ti giri e vedi l’uno e l’altra su msn, facebook, email, giochi e facciamo il test di Sex & the City, però è inglese, chi me lo traduce? e, insomma ti girano un po’. Perchè non è affatto la sbirciatina veloce per staccare un attimo. E’ – più o meno – la regola. E hanno pure il coraggio di lamentarsi che io non seguito alcune pubblicità che, insomma, se stavo facendo altro, potevano anche pensarci loro, visto che stavano giocando, no? E hanno pure avuto il coraggio di andare via, prima di me. Hanno dato l’ok per la stampa alla tipografia quando mancava ancora quella parte di controlli che di solito faccio io, ma che non avevo ancora fatto perchè stavo facendo altro. E no, non ci si comporta così.

Però, al di là della pura cronaca, queste cose mi danno veramente fastidio, mi fanno star male, ancora, anche se dovrei saperlo che lì dentro funziona così. Non esiste una seria gerarchia, non ci sono ruoli e compiti definiti, manca completamente organizzazione.

Uno dei miei giornalisti dice che sta sfruttando l’occasione per crescere professionalmente, più che altro nel senso di imparare a convivere con certi elementi.

Io, invece, per carattere, purtroppo, lascio correre le cose. Mi arrabbio, ho poi bisogno di sfogarmi e a volte sfogo tutto quello che mi tengo dentro con le persone sbagliate. Eppure, esternamente, sono mite e calmo. E questo, però, favorisce l’opera di certi personaggi, che credono di potermi mettere i piedi in testa facilmente. Ci hanno provato (e purtroppo, recentemente, ci sono anche riusciti). Però sto accumulando tutto. E prima o poi, sicuramente nel peggiore dei modi, esploderò.

E intanto, uscito dall’ufficio, sono rimasto a parlare un po’ con miei pochi ma buoni colleghi preferiti. E una cosa (di quanto scritto qua sopra) tira l’altra. Ci siamo confrontati ed è rassicurante perchè vuol dire che non sono io il matto che non capisce, che interpreta male le cose.

Però c’è una cosa che mi fa star male. Stavo pensando, di nuovo, a settembre e a quel che succederà. Con tutte le vicende giornaliere, mi si stanno visibilmente sgretolando le possibilità che avevo di realizzare il mio sogno: conquistare l’indipendenza dal nido materno e andare a vivere nella grande città.

C’è sempre stata la consapevolezza della difficoltà della scelta. Conciliare la scuola di grafica al mattino e il lavoro al pomeriggio sera si sarebbe rivelato piuttosto difficile. Avrebbe voluto dire rinunciare a molto, vuol dire rinunciare alle mie passioni, accantonare gli amici, probabilmente anche faticare a trovare del tempo per la persona che amo, in virtù di una cosa fondamentale per poter affrontare la giornata scolastica + lavorativa: il sonno.

Ora però si stanno aggiungendo anche forti dubbi a livello puramente economico: scuola + lavoro implica, per avere più tempo ed essere meno stressato, avere una minuscola stanzina a Milano. Affitto, spese, cibo da pagare, ai prezzi di Milano. Non vorrei dovermi trovare a vivere di stenti pur di arrivare a fine mese con uno stipendio che, alla fine, è quello che è (poi si dimenticano pure di pagare questo o quello).

Così partendo dalla difficoltà intrinseca della scelta stessa e aggiungendo sia i forti dubbi economici sia l’invivibilità dell’ambiente di lavorativo si arriva ad una lapidaria sentenza: è un suicidio. 

Sicuramente in caso di problemi ad arrivare a fine mese, la preferenza andrebbe alla scuola mentre il lavoro salterebbe (con un vaffa generale molto soddisfatto, probabilmente). Mi risveglierei di botto dal sogno dell’indipendenza diventato realtà per troppo poco tempo e sicuramente farebbe molto molto male.

Come al solito, dovrò fare una scelta. Come al solito, non ne sono capace.

Mi dicono che devo fare quel che ritengo giusto per me, quel che mi sento di fare. Ma cos’è giusto? Abbandonare direttamente il lavoro e rimandare di almeno due anni la libertà? Testare subito la libertà e distruggermi di studio e lavoro? Non riuscirci e vedere fallire miseramente il mio progetto?

Non sono capace di chiudermi il passato alle spalle. Io rimugino, rimugino e rimugino. E ciò su cui più rimugino è me stesso. Mi guardo dentro, vedo una matassa imbrigliata e non vengo a capo di nulla. Sono un gomitolo di rimorsi per quanto non fatto, di rimpianti per quanto perso, di rabbia per gli errori commessi.