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Tornato (pensieri sparsi)

Alla fine, sono tornato da Madrid.

Problema nube vulcanica evitato per un soffio, sia all’andata che al ritorno.

Tempo un po’ così, anche se a sentire le cronache dall’Italia devo ammettere che non sembrava tanto male.

Tanti, forse troppi quadri visti, che per un po’ non voglio vederne neanche uno.

Guernica.

Piedi ancora doloranti per il troppo camminare.

I soliti assurdi scazzi causati dal far convivere 6 teste diverse.

Guernica.

Un Gios visto per un aperitivo.

La circolare.

Il roaming dati dimenticato attivo per sbaglio e l’azzeramento del credito.

La lontananza.

Il 50ino usato a dovere.

Guernica.

Ma, alla fine mi sento soddisfatto di questo viaggetto in terra spagnola.

Nonna & Diva 2009 Educational

Sinceramente, c’è troppo da dire di questi 3 giorni in quel di Padova/Venezia.

Quindi non so se riuscirò a scrivere un post sensato.

La prima tragedia con i treni arriva salendo sul regionale che ci porta a Milano. Caldo, puzzolente, con i sedili lerci. Mi ha fatto già rimpiangere di non essere partiti in macchina. Fortuna che poi il trasbordo sull’Eurostar a Milano mi ha fatto ricredere, seduto comodo, con una presa a cui attaccare l’iPhone e con una temperatura decente. Tale eurostar, su cui abbiamo incontrato Ribaldo, arriverà poi a Padova con 38 minuti di ritardo, su 125 previsti di viaggio.

A Padova ci accoglie l’Anziana Miss Marple, che ci porta subito sul favoloso, silenzioso e congelante tram azzurro. E’ ormai sera, quindi vediamo una Padova buia e silenziosa, ma non passa inosservato il monumento dedicato all’11 Settembre di Daniel Libeskind.

La casa del nostro ospite è come dovrebbe essere: mobili antichi, alcuni impreziositi con splendidi lavori di decoupage, collezioni di scatole di latta (twinings!) un po’ ovunque. E quella meravigliosa camera da letto padronale con il copriletto (di un letto comodissimo, tra l’altro!) viola.

Inutile dire che l’Anziana si è prodigata per noi in cucina e ha preparato delle delizie.

Serata in casa a ciacolare finché non sono più o meno stramazzato nel letto, fino alla mattina dopo.

Partenza per Venezia, con incontro combinato sul treno con Edgar. Siamo quasi in dirittura d’arrivo a Santa Lucia quando vediamo, sul treno vicino al nostro, un Poto spiaccicato sul finestrino. Chissà, magari stava aspettando qualcuno…

Intravedo da lontano il ponte di Calatrava (che nessuno mi ha portato a vedere da vicino, e vi informo che me ne ricorderò a vita!) e poi corriamo verso il cuore della città, alla ricerca di un posto conosciuto dall’Anziana in cui sfamarci.

In tale posto mangiamo sanissimi cibi 100% fritto, 100% gusto.

Successivamente tentiamo di raggiungere la Biennale, con una cartina in mano al Byb (cosa assai pericolosa). Della Biennale… beh! L’unica cosa da dire è che vale assolutamente la pena di visitarla, magari con un po’ più di calma. Molte opere interessanti, alcune abbastanza inutili.

Poi l’incontro con Rosa & Tino, alla statua di Garibaldi, mentre Poto ci aveva già abbandonato per doverosi impegni sociali. Si tenta di andare ai Giardini, dove c’era un’altra parte dell’esposizione della Biennale, ma scopriamo che avrebbe chiuso nel giro di mezz’ora e non ci sentiamo di obbligare R&T a pagare 18 euro per mezz’ora di mostra, ripromettendoci di visitarla un’altra volta.

Così ci adagiamo sui tavolini di un bar lì vicino per una sana caraffa da un litro di spritz, mentre Ribaldo e Edgar invece visitavano i Giardini.

Poi, ovviamente, ci si perde. Si corre a recuperare i 2 persi inseguendo chissà quale enorme nave da crociera (non era più facile dire: girate a sinistra alla fine della via? :P).

E alla fine, cerchiamo il posto perfetto dove cenare. Grazie alle nuove tecnologie riusciamo a trovare il ristorante/osteria la Vedova, che era ovviamente piena. Giriamo ancora un po’ per i calli e troviamo un altro ristorantino interessante, se non per i bambini urlanti che lo popolavano.

E poi boh, la corsa verso la stazione e il casino per fare i biglietti per il ritorno, visto che i posti su praticamente l’unico treno rimasto erano esauriti. Facciamo il biglietto per un treno di pari classe ma di un altra ora, giusto per evitare la multa e poi tentiamo di prenderlo. Tale treno era un intercitynight per Munchen. Tante carrozze tedesche e una unica carrozza italiana. L’unica carrozza italiana scoppiava, visto il numero di persone in piedi.

Il treno parte, molti scendono a Mestre e veniamo cacciati dalla parte tedesca da una gentile signora nana e antipatica che ci ha detto chissà cosa. Torniamo così nella parte italiana, assieme ad un duo di vicentini alquanto ubriachi. Lei, oltre ad essere ubriaca, è in lacrime, perché lui ha regalato delle rose a lei, ma anche ad un altra e allora lui, per sdrammatizzare, decide di regalare ad ognuno di noi altre rose, che sono sul pavimento del treno, schiacciate da valige, piedi e qualsiasi altra cosa. Inutile poi tentare di fare capire che noi scendevamo a Padova, loro dovevano stare sopra fino a Vicenza e che Vicenza era prima di Verona. Alla fine non capivano più nulla e volevano scendere prima a Padova poi a Verona. Povero Edgar che si è dovuti sorbire più di noi.

Tornati a Padova, altro giro in tram blu silenzioso figoso ma congelante fino alla nostra dimora temporanea. Poi gli altri si sono messi a fare discorsi un po’ troppo culturali per i miei gusti, tanto da convincermi a fare l’asociale e dormire, visto che ero stremato da questa mia prima volta a Venezia.

Il giorno dopo, sveglia con la doverosa calma, altro ottimo pranzetto e, una volta preparati gli zaini, siamo andati a vedere la mostra sul Signorini allestita a Palazzo Zabarella. Mostra interessante, un allestimento ben curato (altro che quelli di Palazzo Reale!), solo che il Signorini non è esattamente il mio genere, anche se molti quadri erano notevoli.

Salutiamo Ribaldo, che avrebbe preso l’Eurostar prima del nostro, mentre noi finiamo con calma il giro della mostra e dopo facciamo un giretto per Padova, piena di vita per la festa delle associazioni o una cosa del genere.

Decidiamo di sederci ad un bar gelateria, che bocciamo per il pessimo servizio, la panna acida che hanno usato per il gelato e per la clientela decisamente autoctona decisamente troppo tirata. Aggiungiamo anche il prezzo stratosferico (15 euro per 3 coppette) e sembrava quasi di essere a Milano.

Arriviamo poi in stazione, attendiamo il nostro Eurostar e scopriamo via SMS dal buon Ribaldo che loro sono bloccati a Rezzato, prima di Brescia, visto che un ragazzo è stato investito dal loro treno.

Prevediamo notevoli ritardi… ed è così. Partiamo giusti da Padova, ma iniziamo a rallentare lungo la linea. Nel frattempo scopriamo che il ragazzo si era suicidato e prima del gesto aveva avvisato i genitori via sms.

Tristezza per lui, per quello che l’ha spinto al folle gesto, ma anche un po’ di noia nei confronti di come Trenitalia ha gestito l’emergenza. Il nostro treno è stato fermo prima mezz’ora, poi 20 minuti, ufficiali. Ma, non si sa come, questi 30+20 erano diventati già 69 minuti di ritardo. A Vicenza già sono saliti passeggeri che avevano prenotato sull’Eurostar successivo e si son ritrovate in piedi. Ma a Verona (o non ricordo dove) è successo il peggio, quando sono saliti passeggeri di un regionale che era stato soppresso. Così il treno è stato declassato e, oltre al notevole ritardo, ha fatto tutte le fermate fino a Brescia.

A Brescia, poi, è ritornato ad essere un diretto fino a Milano e qualcuno è sceso, ma erano ancora sul treno quella coppia di strani personaggi che ha passato tutto il viaggio al telefono a dire alla madre, al padre, all’amica, alla suocera e al suocero quanto Trenitalia facesse schifo, come non sanno gestire le cose, che erano su un vagone che sembra quello dei deportati verso i campi di concentramento ed io, per evitare di sentire e incazzarmi, sinceramente, mi son sparato Maaaadanna a tutto volume.

Alla fine arriviamo a Milano con 129 minuti di ritardo (su 125 di viaggio previsto). Pausa bagno (che proprio non ce la facevo più e in treno era impossibile muoversi), pagando un euro e passando per tornelli manco fossero quelli della metro.

Poi alle macchinette automatiche per fare i biglietti per il ritorno e poi di corsa al McDonald fuori Centrale per prendere qualcosa da mangiare d’asporto, visto che erano le 22 e passa.

Ritorniamo in centrale, affrontando anche una scala mobile immobile (argh!) e saliamo sul treno, ovviamente pieno.

Il treno parte, noi mangiamo, messaggiamo un po’ tutti avvisando della situazione e, alla fine, mi è venuto un mal di testa tremendo, che non mi ha abbandonato fino a che non mi sono addormentato nel mio lettuccio.

E ora, ci sarà un qualche modo per chiedere un rimborso a Trenitalia per questi ritardi?

Quando il particolare è il totale

Il pomeriggio del secondo giorno del viaggetto (sfortunato) in terra svedese l’abbiamo passato al Moderna Museet, rischiando addirittura di farci chiudere dentro e con la febbre che iniziava a salire.

Bella l’esposizione permanente (voglio quella carta da parati by Andy Warhol, quel quadro gigante di Dalì e quel Picasso), ma sono stato colpito anche dall’esposizione temporanea delle opere del fotografo tedesco Andreas Gursky.

Gursky realizza foto in grande (grandissimo) formato, giocando moltissimo con fotomontaggi e modificando le proporzioni degli elementi. Spesso rende l’uomo piccolo, minuscolo, in confronto al mondo, sia naturale che artificiale. Ci si perde nella qualità compositiva delle sue foto, ci si cruccia nel comprendere il metodo di realizzazione, ma spesso non si può far altro che rimanerne sbalorditi dalla quantità a volte ossessiva di dettagli che però non va a intaccare la totalità del lavoro.

Colazione, ospedale, Hard Rock e cubocilindrocielo.

Eviterei di riproporvi il racconto della prima gita in ospedale, avvenuta sabato mattina, dopo la prima, favolosa colazione allo Sheraton.

Riassumendo, son poche le cose fondamentali da dire. Ero diventato tutto rosso, preoccupatemente rosso. La richiesta di aiuto in reception, se c’era un medico. La decisione di andare in ospedale. Un taxi enorme per soli noi due. L’efficienza dell’accetazione del pronto soccorso. Il mio numero di assistenza sanitaria svedese, costato solo 300Kr. Il medico biondissimo, occhi azzurrissimi, dall’english semplicemente perfetto (adoro!). E la diagnosi (poi si scoprirà) sbagliata: si pensava ad una semplice allergia a qualsiasi cosa.

Comunque, sul viaggio di ritorno verso l’arbergo, ci siamo fermati nei dintorni della Libreria pubblica di Stoccolma. Nulla di che, dai. Disegnata da Gunnar Asplund e completata nel 1928, è semplicemente un cubo con 3 enormi portali decorati con svastiche (che ai tempi avevano un significato completamente diverso dall’attuale), un fregio continuo pieno di finti geroglifici che rappresentavano le cose più assurde, il cilindro posizionato sopra.

Cubo, cilindro, cielo

Come? Vi ricorda la Scala? Cosa? Le polemiche per il suo ampliamento? Beh, in Svezia avevano già una cosa del genere. E nessuno ha polemizzato, mi sembra.

IngressiSoluzione d'angoloGeroglificiMotivi ornamentali ora non ben vistiDistorsioni frontaliGiochiamo a tris?

Il tempo, nel frattempo, si divertiva a prenderci in giro. Sole, nuvole, caldo, freddo, vento e micro-fiocchi di neve. Una breve sosta al McDonald lì vicino per un caffè caldo preso dal Byb. E poi un salto all’Hard Rock Cafè, per comprare una maglietta figosissima. Forse un po’ troppo, per il mio stile, ma di tanto in tanto si può pure trasgredire, no?

Una notte luminosa in Gamla Stan

Una volta sistemati in albergo e ripresi dallo shock del problema della prenotazione, dopo aver perso un po’ di tempo a rilassarci e a scoprire la camera, siamo usciti alla volta di Gamla Stan, l’isola centrale di Stoccolma, per un primo giro di orientamento e per metter qualcosa sotto i denti, visto che alla fine.. non avevamo praticamente pranzato in volo, rifiutando i prodotti a pagamento di Rayanair e lo spuntino dal McDonald non sembrava sufficiente ad arrivare fino al giorno dopo…

Acqua

Potere ai greci!E la città che si è aperta davanti a noi era magnifica. Palazzi enormi, alcuni monumentali, dove il monumentale era ottenuto semplicemente aggiungendo un enorme tempio greco sulla facciata. Ponti, isole, isolette, viali e vialetti. Era impressionante il numero di ristoranti, tanto da rendere la scelta imbarazzante. Si susseguivano, nella stessa via, un ristornate italiano, un cinese, un giapponese, poi un thai, uno indiano, poi di nuovo uno itialiano, un thai, un chinese, uno spagnolo e ancora un thai. Tutti ristoranti che proponevano la loro cucina, più ovviamente quella tipica svedese, perché bisogna avere rispetto del paese in cui si vive, no? Ristoranti a cucina locale praticamente zero, forse dovuto alla presenza di pochi piatti tipici e all’apertura verso le altre cucine degli svedesi. Si trovava la cucina locale nei bar e nei pub (e anche lì… Irish a profusione!).

Ammirando neri contorni #3Ne avevamo trovato uno che ci attirava. Due piani, musica dal vivo. Avevamo già girato quasi tutta Gamla Stan e il freddo e il buio incombevano. No, il buio no. Diciamo solo il tramonto. E anche dopo che il sole non si vedeva più il cielo era una luce unica, che arrivava da ogni direzione. Ottima per le foto e i controluce degli skyline.

Comunque, entriamo in questo pub. Un primo piano piccolo, affollato, sovraffollato. Però i piatti sono invitanti. Mi dirigo diretto al bancone, chiedendo alla ragazza se avevano un tavolo per due per mangiare. Nel suo inglese perfetto mi risponde sicuramente al piano di sotto. Scendiamo. Praticamente eravamo in una cantina … si apre una sala grande con tavoloni e poi da lì una serie di corridoi dai muri storti a mo’ di caverna con nicchie con altri tavoli. Scegliamo un tavolo lungo questo corridio. La fame avanza, l’umidità e la poca luce da’ un po’ di fastidio. Ma il cameriere non arriva. Non ci aveva dato nemmeno la lista, completamente ignorato, anche quando è passato per servire dei tavoli più in là dei nostri. Ci scocciamo. E ce ne andiamo.

Meglio così. Perché ripercorriamo gli stessi vicoli di prima, pieni di ristoranti, negozi, gelaterie d’asporto (folli, con quel clima, a mangiare gelato passeggiando all’italiana). E alla fine ci ritroviamo in una piazzetta all’aperto davanti alla Sveska Academia. Una foto ridicola. Perché l’ho fatta in verticale, per un edificio a sviluppo prevalentemente orizzontale?!

Over the bar with the rainbow

So that's the Alcazar!

Comunque vieniamo attirati da un paio di bar. Uno vicino all’altro, tavoli e sedie fuori dotati di coperta. Ci attira quello con le coperte Ikea verdi e una rainbow flag che sporge dalla tenda. Scegliamo quello. Ceniamo all’interno, un tavolino minuscolo per due, al caldo della cucina. Un piatto semplice. Pollo al curry, fatto a dadini, mai provato, in una patata al cartoccio. Di contorno, una montagnetta di insalatina sottilissima e semi di soia e altro che non ricordo.

Finito la cena, ero già fuori a sbagliare e a dimenticarmi le foto, qualcuno si attardava… Colpa di un freepress, QX, in megaformato esposto all’interno del bar. Una prima pagina da far paura. Bianca e rosa, con gli Alcazar. Impossibile resistere e non prenderlo. L’errore è stato di aver preso solo una copia. Se ne avessimo prese due, una l’avremmo potuta far avere a SuperPop che abbiamo subito immaginato impazzire (in senso buono) per una copertina così, proprio come noi.

just panorama #3

BlurPoi il ritorno all’hotel su un lungo percorso panoramico con freddo incombente e la luce magica della notte sull’acqua dei canali. Foto su foto al semicerchio del Parlamento.

E una veloce alla colonnina del bikesharing locale, di fianco all’ingresso dello Sheraton.

The lights and the water

Poi camera, letto, sonno…

The welcoming TV

Credo sia giusto e doveroso dedicare un post alla supermega TV multimediale che ci ha accolto nella camera dello Sheraton. Un LCD 32″ della Philips, ovviamente con software personalizzato e interattivo.

A welcoming LCD

Aprendo la porta, l’LCD mi salutava, con nome e cognome.
Una volta scelta la lingua, era possibile usare la tv per guardare i vari canali free o a pagamento o film on demand (prezzo variabile dalle 45Kr alle 149) scelti praticamente dal catalogo Blockbuster in tutte le lingue. In caso di acquisto di un film era ovviamente possibile scegliere la lingua, sottotitoli, e fare play/pausa/forward/rewind tutte le volte che si voleva in 24 ore; era poi possibile ascoltare musica dai canali free oppure scegliendo album e compilation (a pagamento, 24-30Kr l’uno, disponibili per 24 ore), navigare in internet e controllare le email con la pratica tastiera (a pagamento) e controllare in tempo reale la situazione del conto della camera.

Inutile dire che abbiamo usato solo le opzioni free, soprattutto il canale musicale “Mega Mix”. Tra l’altro, con la scelta di un canale solo audio, si attivava in automatico il diffusore nel bagno, per una doccia con massaggio rilassante con musica di sottofondo.