241 – tasca

Ieri sera: una serata – che poi è continuata nella giornata di oggi – strana.

Le premesse c’erano: un amico che non vedevo da un po’, un altro amico from Bologna che non vedevo da molto di più.

Amico che non vedevo da un po’ mi invita a casa sua per un preserata. All’arrivo, mi trovo immerso in un miscuglio di persone e di lingue, tra frasi dette in italiano, spagnolo, tedesco, francese, inglese.

Bello, anche se difficile per me riuscire a stare dietro a tutto e inserirmi in un gruppo che sembrava comunque così affiatato. Molta invidia per il poliglottismo (e il piglio sicuro e la pronuncia) degli altri. Tristezza, pensando che questi ragazzi di 23-24 anni che hanno già girato il mondo, tra vita e scuole e io invece non mi sono mai mosso dall’italia, se non per brevi vacanze.

Poi il trasferimento del gruppo al Glitter e la serata è andata bene, come sempre. E – forse merito delle strane settimane di ponte – era pieno ma non pienissimo e soffocante e si riusciva a stare bene.

Visto chi dovevo vedere, anche se meno del voluto.

E poi ho ribeccato altri amici… e stando con loro ho avuto modo di conoscere altre persone e continuando la serata chiacchierando da altre parti. E tutto è andato così bene che si è fatto giorno, è uscita la luce, erano le 8, la gente già andava a correre e noi ancora non avevamo dormito.

Mi è stato offerto un divano su cui dormire, senza impazzire a tornare verso casa e da lì si sono sballati un po’ i programmi della giornata, vivendo su un fuso orario diverso.

E poi più tardi, andando verso casa di F. per un giappo dell’ultimo minuto, è salita ancora la tristezza, l’invidia e quella sensazione di non esser riuscito a realizzare nulla nella vita.

Sensazione che è aumentata, una volta che F. è salita in macchina, mentre le raccontavo della nuova amicizia della serata, della sua casa, della sua età (27-28), del suo lavoro e mentre facevo quella brutta cosa del fare i conti in tasca alla gente con dei 2+2+2 da quello che veniva fuori dal racconto del suo stile di vita.

La serata è continuata liscia, cenato ma senza troppa convinzione. E poi un salto veloce in casa sua, per una fettina di torta e guardare insieme un po’ di stupida TV (Realtime, Dmax, dico a voi).

Infine di nuovo in macchina. E man mano che macinavo i chilometri in autostrada per tornare verso il paesello, quel senso di oppressione e di sentirmi comunque ancora bloccato in casa senza facili vie d’uscite continuava a salire, ovviamente accompagnato dalla sensazione di non essere così convinto al 100% della decisione presa in quel nefasto out-out tra la serenità e la (presupposta) indipendenza.

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