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Fuori, dentro, sotto

Fuori, la pioggia che cadeva.

Dentro, le lacrime che scorrevano.

Sotto, le note di una triste canzone..

I looked at your face I saw that all the love had died
I saw that we had forgotten to take the time
I, I saw that you couldn’t care less about what you do
Couldn’t care less about the lies
You couldn’t find the time to cry

We forgot about love
We forgot about faith
We forgot about trust
We forgot about us

Now our love’s floating out the window
Our love’s floating out the back door
Our love’s floating up in the sky in heaven
Where it began back in God’s hands

You said that you had said all that you had to say
You said baby it’s the end of the day
And we gave a lot but it wasn’t enough
We got so tired that we just gave up

We didn’t respect it
We went and neglected it
We didn’t deserve it
But I never expected this

Our love floated out the window
Our love floated out the back door
Our love floated up in the sky to heaven
It’s part of a plan
It’s back in God’s hands
Back in God’s hands

It didn’t last
It’s a thing of the past
Oh we didn’t understand
Just what we had
Oh I want it back
Just what we had
Oh I want it back
Oh just what we had

Oggi. Pranzo.

Tra un portata e l’altra se ne salta fuori con qualcosa tipo “l’altra sera mi ha sentito piangere… anche le madri hanno momenti di sconforto… ma bisogna essere rispettosi dei sentimenti”.

Ovviamente con il suo solito tono da arrabbiata, da ho ragione solo io e tu sei (e mi fai) schifo.

E, la cosa, ovviamente mi ha fatto arrabbiare.

Da che pulpito viene la predica!

Pretende rispetto! Rispetto per cosa? Per le belle parole che mi ha detto? Per come si è comportata in questi ultimi mesi? Per come non rispetta me, i miei sentimenti, le mie scelte, il mio essere?

E, ovviamente, ho finito lì il mio pranzo. Dopo il primo.

Perchè a me, in quei momenti, mi si chiude lo stomaco e non riesco a fare altro che non assistere ai pensieri che cozzano, impazziti, dentro la mia testa.

The new President

Bene o male, vista dall’altra parte dell’Atlantico, era un personaggio che comunicava fiducia, ispirava simpatia e speranza.

Tutto il contrario del suo oppositore e della sua -lasciamoperderecosa- vice.

Lo davano per favorito.

E sembrava troppo bello per essere vero.

E l’America ha assolto il suo dovere democratico, votando, ieri.

E l’America ha scelto lui.

Barack Obama.

Brava America.

E ora c’è speranza e fiducia per quello che farà , per come gli USA riuscirà  ad influenzare il mondo, per come gestirà  le patate bollenti lasciategli da Giorgio Cespuglio.

Yes, we can.

Sì. Tu e gli USA ci sieti riusciti.

Complimenti

Niente sonno

Ovviamente, non riescivo a dormire.

Così, per conciliarmi il sonno, ho messo su un episodio di Nip/Tuck. Uno, due, tre. Fino ad arrivare alla fine (drammatica) della serie. Giusto per tirarmi su il morale.

E ora che è finita, ora che ho buttato via ore preziose di sonno prima dell’esame di domani, non riesco – ovviamente – ancora a dormire.

Perchè non faccio altro che ripensare e rivedermi lì sopra, in corridoio. Sento di nuovo il gelo ai piedi e l’angoscia per il mio immobilismo.

Che forse non avrebbe cambiato nulla, ma mi detesto.

Ho la sensazione di aver sbagliato a non fare nulla.

E mi odio, profondamente, perchè, come al solito, lascio che le cose succedano, senza tentare di influenzarle a mio vantaggio, per poter tentare di vivere meglio, per me e per tutti quelli che mi stanno intorno.

Silenzi pericolosi

L’avevo sentita piangere, dall’alto, mentre io ero giù in camera.

Così, piano, evitando di fare rumore, senza ciabatte, son salito, per tentare di capire cosa fosse successo.

Ogni scalino che facevo, sentivo il suo pianto sempre più forte, disperato, giungere da dietro la porta chiusa della sua camera.

E il pianto, il singhiozzo, le parole che non riuscivo a comprendere, le parole di lui per tranquillizzarla, per calmarla, per capire cosa fosse successo.

Poi, poco a poco, il pianto si fa sempre più debole, finchè lassù, in corridoio, sento solo il tic tac delle lancette dell’orologio della cucina del piano inferiore.

Rimango comunque lì, immobile. Mi siedo, appoggiandomi allo stipite della porta. Dal basso, la luce di camera mia lasciata accesa delineava le forme della scala.

E a parte l’orologio, era tutto silenzioso. I piedi erano sempre più freddi, a contatto con il pavimento.

Finchè poi, la sua voce.

Non più tremante e singhiozzante dal pianto.

Ma ferma, come se in quegli attimi di apparente tranquillità , avesse preso una decisione.

Sì. Ha preso la stessa decisione che io ho già  preso settimane fa.

Ha deciso che noi, per lei, non esistiamo più, proprio come io, settimane fa, avevo deciso che loro per me non sarebbero più esistiti, almeno finchè le cose non cambiavano.

E così, se mentre la sentivo piangere avevo schifo per quel qualcosa che mi paralizzava, mi bloccava dall’aprire la porta della camera e dal correre ad abbracciarla, ora, sentirla pronunciare queste parole, mi faceva arrabbiare. E molto.

Perchè le sue parole dimostravano ancora una volta di non aver capito le mie ragioni, il motivo della mia scelta. Come se mi divertissi a fare così, come se lo facessi per gioco.

Perchè volevo solo entrare, urlarle con tutto il fiato che avevo in corpo che era una stronza, che mi aveva rovinato la vita e ancora continuava a rovinarmela e che la odiavo, che non mi fregava più nulla che io per lei non più nessuno, visto che lei, per me, aveva cessato di essere qualcuno già  da prima.

Ma non l’ho fatto. Sarebbe stata la rabbia a parlare. La rabbia di non sentirmi bene, di non sentirmi voluto e accettato, la rabbia di non poter essere me stesso tra queste quattro mura.

E così sono rimasto in corridoio.

Fermo, zitto, paralizzato.

Avvolto nel silenzio.

Il silenzio di una famiglia che lentamente, giorno dopo giorno, si sta distruggendo.

E in quell’immobilismo, solo un’azione, prima di tornare in camera.

Prendere la porta del corridoio e chiuderla, sbattendola, alle mie spalle.

Per far presente che c’ero anch’io, per sfogare un po’ la rabbia, prima di tornare in camera, chiudere il libro, scrivere queste righe per il mondo e cacciarmi sotto le coperte a piangere, piangere e piangere.

Paris dichiaratamente pro-Obama. Ovviamente a modo suo..

Ok, lo so. Io odio Paris. Però pensare che una bionda come lei si interessi di politica, ovviamente a suo modo, mi fa ben sperare..

Anche Paris Hilton si schiera. Anzi, si vendica contro Mc Cain che l’aveva indicata in uno spot come esempio negativo da non seguire, quintessenza dei disvalori promossi dal mondo della comunicazione. E lo fa lanciando un cocktail pro Barack, come racconta il periodico usa Glamour. È capitato venerdìsera nella sua villa di Los Angeles dove si sono ritrovati oltre mille vip da Jennifer Lopez a Mariah Carey, da John Travolta a Keanu Reeves. “Vi ho convocati qui non solo per divertirvi ma anche per lanciare un messaggio. Io non capisco molto di politica, ma Obama mi sta simpatico ed è per questo che ho ideato un cocktail che ho imparato a mettere insieme nelle isole Fijii, e che ora vi propongo”. Oltre 200 camerieri hanno quindi servito agli invitati il “seven tiki”, un misto a base di rhum, pompelmo rosa, pineaple, il frutto tropicale per eccellenza. Paris si è presentata agli ospiti con una camiciona a fiori, sarong, una gonna di paglia e con al collo una collana di fiori stile laguna blu. Al braccio destro sfoggiava un bel tatuaggio stile Maori. Fin qui niente di nuovo, visto che il cocktail in questione è già  trendy da mesi negli ambienti alla moda negli Usa. Il tocco di Paris sta nell’aver ornato il beverone di un ombrellino che raffigura Obama in costume fijiano. Una trovata che ha contagiato già  tutti i locali alla moda della costa californiana. “Qualunque cosa faccia io si traduce in moda, in soldi, in business – ha chiosato Paris – per questo ho voluto lanciare questo coktail, è un mio contributo ma non so proprio se Obama gradirà â€¦.”.

L’Oscuro

Alla fine, sono riuscito a vederlo.

E sono ancora senza fiato. Tremavo, chiudevo gli occhi e li riaprivo. Perchè ti prende. E non ti lascia più andare. 

Affrontare Il cavaliere oscuro mette comunque in difficoltà , perché ti rendi conto immediatamente che le solite parole non bastano. Quelle di elogio della mostruosa, indicibile, uberumana performance di Heath Ledger, e di tutto il cast con lui. Di come Chris Nolan sia riuscito a trovare un equilibrio definitive tra le due anime del suo cinema, schizofrenico e fenomenale come gli splendidi, corposi personaggi di questo film. Di come Il cavaliere oscuro abbia ben poco del comic book movie, ma sembri piuttosto, come molti hanno detto, l’ultimo thriller metropolitano possibile, un film complesso e adulto, nonostante le impennate e nonostante le maschere, che risente più della lezione di Michael Mann che di Tim Burton. Del fatto che quella macchina da presa che volteggia tra i palazzi fa del pipistrello un simbolo decadente, mentre la protagonista è proprio la città  – una città  che è impersonificata e resa carne, con il suo caos e il suo caso, il suo dolore e il suo disperato eroismo, e la sua fioca speranza. Gli occhi che ci guardano, e che ci parlano, fin dalla prima inquadratura, sono le mille e mille finestre di Gotham City. Pronte a scoppiare.

Via Giovanecinefilo

Anniversari

Oggi niente lezione. Causa un tremendo maldigola e un po’ di febbre.

Così, a casa tutto i giorno. In parte a dormire, in parte a studiare.

Pranzo e cena.

Poi, dopo cena, arriva mio padre in camera.

Con un vassoio di pasticcini in mano, chiedendomi se voglio uno dei “pasticcini dell’anniversario”.

Ovviamente, rifiuto, non mi vanno.

Ma non posso non fare a meno di non pensare a che anniversario si riferisse..