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Ah, già , ho un blog

Devo dire che gli ultimi sono stati dei giorni un po’ frenetici.

Eppure… eccomi qua. Ancora in piedi. E come al solito ho l’impressione che l’unico a non credere che ce l’avrei fatta ero io.

Tavole consegnate, esercitazioni fatte e finite, prima sessione di compitini superata.

Ora una settimana di pausa dalle lezioni. Giusto il tempo per tentare di dormire un po’ e finire alcune tavole che avevo lasciato indietro e altre da rifare.

E nel frattempo mi rendo conto che non dedico più tempo a quel marasma di pettegolezzi 2.0. Bene o male mi sto perdendo twittate, post, mail. Non sono aggiornato quasi su nulla, sul reader si ammassano i feed.

Ma a parte l’ansia quando lo avvio nel vedere un 1000+ in alto a sinistra, penso che il “Mark all as read” a volte serve. Alla fine è solo uno strumento. Non il fine.

Alla fine, al momento, ho cose ben più importanti.

E sebbene senta a volta la mancanza dell’online, sto comunque bene. Perchè sono veramente contento di quello che faccio. Faticoso, stancante e spesso demoralizzante, ma è grande la soddisfazione al momento di salvare il file o rimettere la matita nell’astuccio.

Per il resto,

stay tuned.

Io sto vivendo.

E tu?

Fate come se

Rieccomi.

Esame dato. E tutto sommato era decisamente meno peggio del previsto. Ora, non dico che prenderò un 30 (anzi, lo escludo proprio), però ci sono riuscito. Ho fatto la ricerca, sono riuscito a sostenere l’esame, per quanto lungo e pesante.

E ricordate il post di ieri?

Bene.

Dall’alto del mio lunaticismo, dimenticatelo.

Perchè ora, superato in qualche modo l’ostacolo, sono di nuovo come al solito.

Certo, ci sono sempre le tavole e le consegne, ma ora che il fardello se n’è andato sembra tutto più facile (fino al prossimo accumulo di consegne, ovviamente).

Ma, bene o male, è un pensiero comune. Su Facebook, il gruppo del primo anno ha organizzato per domani sera un’uscita. E oggi qualcuno si è portato i rifornimenti da casa (vino e limoncello) per festeggiare alla fine dell’esame.

Cose pazzesche, mai viste nella mia precedente (e tristissima) carriera universitaria.

Eppure nulla mi toglie l’impressione, anzi, la certezza, che questa è una vita completamente diversa.

Uoooh oh oh ohhhh

Qualcosa non va

Eppure c’è qualcosa che non va.

Perchè sto facendo veramente fatica a studiare. Nonostante la materia sia interessante e mi è sempre piaciuta, anche se ho avuto pessimi insegnanti che non mi hanno aiutato a comprendere a fondo certi passaggi e me l’hanno fatta odiare.

Ho un bellissimo libro, in carta patinata, tutto a figure. Ho gli appunti degli altri, visto che non sono riuscito a frequentarlo per motivi di lavoro, ho le slide che ha usato il professore a lezione.

Eppure non ci riesco.

Non riesco a capire come studiare, cosa studiare, perchè.

E la voglia va e viene. E quando se ne va, inizio a pensare a tutte le cose da fare. La lezione di oggi saltata, un lavoro che non sono riuscito a realizzare e di cui non ho ancora idee, le tavole delle sedie di Rietveld e quella del layout da consegnare per venerdì, il pantone da comprare assolutamente domani dopo l’esame e sono un mercoledì e un giovedì mattina liberi per fare tutto questo.

E non mi aiuta l’idea di aver comunque perso una lezione (obbligatoria) di laboratorio per combinare cosa? Un’ora in più di sonno? Una mattinata persa alla ricerca dell’Idea non pervenuta? Qualche ora in più di studio per l’esame di domani, che tanto andrà  come andrà ?

Mi è sempre mancata quell’istintività  che per un momento spegne la ragione ed agisce. In queste nottate mi avrebbe fatto decisamente comodo. Almeno sarei riuscito a produrre un risultato, buono o scarso, ma almeno era qualcosa. Qualcosa da cui poter partire, da migliorare, da far valutare e commentare, per poter ricevere indicazioni e consigli.

E invece no. Fermo nel mio solito immobilismo, fermo nel mio meglio non tentare neanche di fare qualcosa piuttosto che farlo male o sbagliato.

E comunque, non so. Poco a poco le mie illusioni di potercela fare stanno svanendo, fagocitate da questo turbine di corse avanti e indietro per Milano, lezioni, pomeriggi e nottate di lavoro.

E siamo solo a metà  novembre.

Poi inizio a pensare, rimuginare, immaginare il passato che non fu. Che dovevo essere più coraggioso qualche anno fa. Era quello in tempo giusto in cui fare quella scelta. Ora invece sono ingabbiato in un limbo da cui non mi sembra di poter riuscire ad uscire.

Sì, c’è qualcosa che non va.

Sto iniziando ad arrendermi.

Quando 24 è troppo poco

Alla fine, questa mattina mi sono svegliato tardi, troppo tardi.

Ho impiegato molto di più a fare quello che dovevo.

Poi è arrivata ora di pranzo, a tavola è successo quello che è successo e la mia produttività  è calata direttamente sotto i piedi, mentre rimanevo, inerme, sul letto imprigionato dai miei pensieri.

Poi il viaggio verso Milano, la caccia del giovedì per trovar parcheggio con il mercato.

E una giornatina pesantissima, piena di grossi sconvolgimenti, a lavoro.

Poi un messaggio di stato su Facebook di un collega. E la conseguente scoperta di un’altra consegna, di cui nessuno mi aveva parlato..

E così, oltre alla tavola che devo ancora finire, oltre all’esercizio di Photoshop che devo iniziare da zero (ma di cui ho un po’ di idee, ovviamente lunghissime da realizzare), c’è anche un’altra tavola, di cui non so praticamente ancora niente.

E nessuno, su quel cavolo di libro delle faccie, che si palesi in chat e voglia spiegarmi cosa c’è da fare.

E così, sono un turbinio di stati, dal depresso, all’arrabbiato, abbattuto, incazzato (lo posso scrivere, sul mio blog?) e sconsolato.

Perchè no, non riuscirò mai a fare tutto.

E ho anche tanto sonno.

Fuori, dentro, sotto

Fuori, la pioggia che cadeva.

Dentro, le lacrime che scorrevano.

Sotto, le note di una triste canzone..

I looked at your face I saw that all the love had died
I saw that we had forgotten to take the time
I, I saw that you couldn’t care less about what you do
Couldn’t care less about the lies
You couldn’t find the time to cry

We forgot about love
We forgot about faith
We forgot about trust
We forgot about us

Now our love’s floating out the window
Our love’s floating out the back door
Our love’s floating up in the sky in heaven
Where it began back in God’s hands

You said that you had said all that you had to say
You said baby it’s the end of the day
And we gave a lot but it wasn’t enough
We got so tired that we just gave up

We didn’t respect it
We went and neglected it
We didn’t deserve it
But I never expected this

Our love floated out the window
Our love floated out the back door
Our love floated up in the sky to heaven
It’s part of a plan
It’s back in God’s hands
Back in God’s hands

It didn’t last
It’s a thing of the past
Oh we didn’t understand
Just what we had
Oh I want it back
Just what we had
Oh I want it back
Oh just what we had

Oggi. Pranzo.

Tra un portata e l’altra se ne salta fuori con qualcosa tipo “l’altra sera mi ha sentito piangere… anche le madri hanno momenti di sconforto… ma bisogna essere rispettosi dei sentimenti”.

Ovviamente con il suo solito tono da arrabbiata, da ho ragione solo io e tu sei (e mi fai) schifo.

E, la cosa, ovviamente mi ha fatto arrabbiare.

Da che pulpito viene la predica!

Pretende rispetto! Rispetto per cosa? Per le belle parole che mi ha detto? Per come si è comportata in questi ultimi mesi? Per come non rispetta me, i miei sentimenti, le mie scelte, il mio essere?

E, ovviamente, ho finito lì il mio pranzo. Dopo il primo.

Perchè a me, in quei momenti, mi si chiude lo stomaco e non riesco a fare altro che non assistere ai pensieri che cozzano, impazziti, dentro la mia testa.

Niente sonno

Ovviamente, non riescivo a dormire.

Così, per conciliarmi il sonno, ho messo su un episodio di Nip/Tuck. Uno, due, tre. Fino ad arrivare alla fine (drammatica) della serie. Giusto per tirarmi su il morale.

E ora che è finita, ora che ho buttato via ore preziose di sonno prima dell’esame di domani, non riesco – ovviamente – ancora a dormire.

Perchè non faccio altro che ripensare e rivedermi lì sopra, in corridoio. Sento di nuovo il gelo ai piedi e l’angoscia per il mio immobilismo.

Che forse non avrebbe cambiato nulla, ma mi detesto.

Ho la sensazione di aver sbagliato a non fare nulla.

E mi odio, profondamente, perchè, come al solito, lascio che le cose succedano, senza tentare di influenzarle a mio vantaggio, per poter tentare di vivere meglio, per me e per tutti quelli che mi stanno intorno.

Silenzi pericolosi

L’avevo sentita piangere, dall’alto, mentre io ero giù in camera.

Così, piano, evitando di fare rumore, senza ciabatte, son salito, per tentare di capire cosa fosse successo.

Ogni scalino che facevo, sentivo il suo pianto sempre più forte, disperato, giungere da dietro la porta chiusa della sua camera.

E il pianto, il singhiozzo, le parole che non riuscivo a comprendere, le parole di lui per tranquillizzarla, per calmarla, per capire cosa fosse successo.

Poi, poco a poco, il pianto si fa sempre più debole, finchè lassù, in corridoio, sento solo il tic tac delle lancette dell’orologio della cucina del piano inferiore.

Rimango comunque lì, immobile. Mi siedo, appoggiandomi allo stipite della porta. Dal basso, la luce di camera mia lasciata accesa delineava le forme della scala.

E a parte l’orologio, era tutto silenzioso. I piedi erano sempre più freddi, a contatto con il pavimento.

Finchè poi, la sua voce.

Non più tremante e singhiozzante dal pianto.

Ma ferma, come se in quegli attimi di apparente tranquillità , avesse preso una decisione.

Sì. Ha preso la stessa decisione che io ho già  preso settimane fa.

Ha deciso che noi, per lei, non esistiamo più, proprio come io, settimane fa, avevo deciso che loro per me non sarebbero più esistiti, almeno finchè le cose non cambiavano.

E così, se mentre la sentivo piangere avevo schifo per quel qualcosa che mi paralizzava, mi bloccava dall’aprire la porta della camera e dal correre ad abbracciarla, ora, sentirla pronunciare queste parole, mi faceva arrabbiare. E molto.

Perchè le sue parole dimostravano ancora una volta di non aver capito le mie ragioni, il motivo della mia scelta. Come se mi divertissi a fare così, come se lo facessi per gioco.

Perchè volevo solo entrare, urlarle con tutto il fiato che avevo in corpo che era una stronza, che mi aveva rovinato la vita e ancora continuava a rovinarmela e che la odiavo, che non mi fregava più nulla che io per lei non più nessuno, visto che lei, per me, aveva cessato di essere qualcuno già  da prima.

Ma non l’ho fatto. Sarebbe stata la rabbia a parlare. La rabbia di non sentirmi bene, di non sentirmi voluto e accettato, la rabbia di non poter essere me stesso tra queste quattro mura.

E così sono rimasto in corridoio.

Fermo, zitto, paralizzato.

Avvolto nel silenzio.

Il silenzio di una famiglia che lentamente, giorno dopo giorno, si sta distruggendo.

E in quell’immobilismo, solo un’azione, prima di tornare in camera.

Prendere la porta del corridoio e chiuderla, sbattendola, alle mie spalle.

Per far presente che c’ero anch’io, per sfogare un po’ la rabbia, prima di tornare in camera, chiudere il libro, scrivere queste righe per il mondo e cacciarmi sotto le coperte a piangere, piangere e piangere.

Anniversari

Oggi niente lezione. Causa un tremendo maldigola e un po’ di febbre.

Così, a casa tutto i giorno. In parte a dormire, in parte a studiare.

Pranzo e cena.

Poi, dopo cena, arriva mio padre in camera.

Con un vassoio di pasticcini in mano, chiedendomi se voglio uno dei “pasticcini dell’anniversario”.

Ovviamente, rifiuto, non mi vanno.

Ma non posso non fare a meno di non pensare a che anniversario si riferisse..