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Quando si è geni del crimine

Oggi la signora madre ha deciso che il mio guardaroba non era per nulla adeguato alla brillante carriera lavorativa che avrò davanti ai miei occhi e che quindi vi era l’impellente bisogno di rinnovarlo completamente.

Ovviamente, arrivati all’immenso negozio, regno della moda con reparti uomo, donna, bambino, scarpe e tamarr…ehm giovani, l’idea di rinnovare completamente il guardaroba si era già  affievolita. E si era tramutata in un giaccone da mezza stagione – non pesante non leggero non come quelli che hai già  a casa – e in un paio di pantaloni.
Quindi si parte con la ricerca della giacca. Girovagando tra i vari piani. Ed ovviamente trovo la MIA giacca. Peccato che manchi la taglia. Era troppo bella e mi stava pure troppo bene ed aveva pure un ottimo prezzo perchè io riuscissi a trovarla. Così ho ripiegato su un modello simile, di cui mi ero premurosamente impossessato nel giro di avanscoperta.
Poi è tempo dei pantaloni. E va tutto sommato bene, finendo, dopo una breve discussione sull’inopportunità  di andare a lavoro con i jeans, a comprare un paio di Levis, doppioni di altri che ho già  nell’armadio.
Peccato che poi vengo folgorato da una visione. Su un manichino c’è un maglioncino favoloso. Bande bianche e bordeux orizzontali, con in leggera sovrastampa un motivo lievemente floerale. Belissimo. Ovviamente troppo bello per essere vero. E magari c’era pure della mia taglia, però con le bande blu!
Peccato che non ho potuto appurare la cosa. Perchè di maglioni ne ho già  a bizzeffe. Ne ho ben 3! Cioè, no, ne ho di più, però ormai gli altri sono stati declassati a “maglioni da casa” e non è il caso di metterli per uscire. Se poi consideriamo che uno di questi maglioni ha pure il cappuccio, che quindi è casual e che quindi non va bene per lavoro, i maglioni scendono a 2. Ma secondo loro non c’era necessità  di acquisto per altri. E lo stesso discorso valeva per le camicie. Quelle camicie orribile, di cui neanche una mi stia decentemente.
E così è scoppiata la litigata. Sia per il fatto che mi hanno praticamente impedito di chiedere al commesso informazioni su quel maglioncino favoloso, che di chiedere per altri. Perchè, si sa, chiedere costa. E comporta l’obbligo di acquisto. Acquisto di cose inutili, no?
E così, tentando di far notare le contraddizioni del loro ragionamento e il fatto che non costava nulla vedere cosa avevano (perchè tanto è rarissimo che trovi qualcosa che mi piaccia/mi vada bene, quindi di che cavolo avevano paura?), visto che ormai eravamo già  lì, ci siamo diretti verso le casse dove, arrabbiato nero, ho messo in atto una mossa da genio del crimine. Ho sfoderato il MIO bancomat per pagare, preso velocemente dal commesso e strisciato velocemente. Con raccapriccio del genitore. E con rabbia della genitrice nei confronti del genitore che ha permesso ciò.
Sì, sono un genio.
Per rabbia nei loro confronti.. ho pagato io!
E così ho fatto sparire ancora una volta un po’ di centinaia di euri dal conto.
Maccheccavolo!

Due stagioni di 24 ore

Come avevo già  scritto, sono arrivato alla fine di una strada. Sono riuscito a mettergli un cartello di divieto di accesso per auto convincermi che non è fattibile proseguire e sono convinto che sia la cosa giusta. Sono bastati qualche piccolo passo indietro, una breve pausa di riflessione di famiglia e qualche aggancio che – purtroppo – in Italia serve sempre.
E così, mi trovo a 48 da un momento importante. L’ingresso in un mondo tutto sommato a me nuovo, in cui devo dimostrare, con umiltà , quel che sono capace di fare. E imparare tutto l’imparabile.
Eppure ho paura. Ho tanta paura.
Perchè è un momento definitivo.
Definitivo per i sogni e le speranze che altri riponevano in me.
Definitivo perchè indica la sconfitta che ho subito.
Definitivo perchè fa diventare il mondo dei miei sogni e delle mie speranze decisamente più tangibili e meno illusorie.
E fa paura. Proprio perchè prima erano miei sogni, che modello a mio piacere.
Ora diventa realtà , in cui io sono solo una delle tante, troppe comparse. In cui il mio ruolo potrà  essere solo marginale e poco importante.
Mi obbliga ad uscire fuori dalla corrente da cui mi sono lasciato trascinare (tranne poi criticare e incolpare altri, quando potevo) e nuotare per conto mio.
E mi obbliga a scegliere.
Perchè ora si parte. Con tre mesi.
Tre mesi che, probabilmente, influiranno pesantemente sul mio futuro.
Potrebbero offrirmi un lavoro e uno stipendio per il prossimo futuro.
Potrebbero portarmi verso un nuovo percorso di studi.
Potrebbero farmi capire che è meglio che il mio sogno rimanga un sogno e trovi un’altra strada se voglio pensare di sopravvire.
Paura.
Paura e pessimismo.

Quando un HD fa cadere i buoni propositi

Proprio qualche giorno fa, sull’altro io digitale che ho qui online, stavo giusto parlando, tra le varie cose, di come, in questo periodo, non me ne frega proprio nulla dell’avere, del volere questo e quest’altro. Perchè non mi servono, sono inutili. E mi basta quel che ho. E quello che possono offrirmi coloro a cui tengo molto.
Eppure oggi è successo. Come mio solito, ho cambiato idea nel giro di pochissimo tempo. Mi è bastato vedere un’immagine. E tre lettere. R. E. Z. Seguite da un HD.
Già . Rez, geniale gioco di Tetsuya Mizuguchi. Quello di Luminees e Meteos. O, ancora prima, quello di Space Channel 5. Un gioco del 2001. Che ho, che ho giocato e che gioco ancora su ps2. Un gioco che mi ha stregato. Con l’arte che sprigiona ad ogni inquadratura. Un’arte astratta, futuristica, semplice. Un arte che mostra un mondo che si evolve, di livello in livello (5, in realtà ). Un gioco che ha osato. E di fatti ha venduto ben poco. Ma quei pochi che lo conoscono, lo apprezzano. Il viaggio verso la Synestesia. L’appagamento dei sensi: la vista, l’udito, il tatto. Perchè in Rez, tutto è collegato. Quel che succede nel mondo digitale da salvare, si riflette sul video, sul sonoro, sulla vibrazione rilasciata dal controller.
Ed ora, questo mio mito del passato è tornato in vita. Anzi, a nuova vita, nello splondore dell’alta definizione in modalità  panoramica e con un sonoro in dolby 5.1, grande assente della versione per ps2. Nessun’altra aggiunta. Il gioco è quello.
Ma lo voglio. Voglio immergermi ancora una volta in quest’avventura immerso nel suono del dolby. Ma per farlo, avrò bisogno di una xbox e del Live Arcade. Il che significa comprare. Doh!

Rez è un viaggio. Non uno sparatutto, nè un rhythm game, men che meno un’avventura, ma un trip lisergico ideato da Tetsuya Mizuguchi durante il periodo d’oro di Dreamcast. Il fascino di Rez sta nel fatto di essere stato, ed essere tutt’ora, un gioco clamorosamente contrario alle logiche commerciali, un esperimento artistico ed estroso dettato da quel coraggio di osare e sperimentare che aveva reso Sega così amata dalla community di videogiocatori. Una politica, questa, che purtroppo non ha pagato e che, accompagnata ad una serie di decisioni poco lungimiranti, ha portato alla morte e sepoltura di “quella” Sega.

Anni di differenza

Non ci sono altre spiegazioni.
C’è un conflitto generazionale tra me e loro. E non ci possono essere altre spiegazioni. O forse c’è altre qualcos’altro. Come una leggera ipocrisia di fondo e una coerenza che a volte, spesso, manca.
Perchè fanno tante storie sul fatto che adesso c’è l’uso di uscire la sera, tardi, tardissimo. Che è pericoloso perchè è buio, fa freddo, c’è in giro brutta gente e si fanno incidenti o ti rapinano al benzinaio. E quindi, puntualmente, tutte le volte che si esce in tali orari, parte sempre lo stesso disco. Che ormai so a memoria.
La soluzione, a detta loro, è uscire di giorno, possibilmente di pomeriggio. La domenica pomeriggio. Peccato che poi, quando oggi, domenica pomeriggio, ho ventilato la possibilità  di uscire.. apriti cielo! E questa volta il tasto play è stato premuto su un altro disco, leggermente diverso dal solito, che però ho sentito – bene o male – troppe altre volte.

Oggi. E lunedì. E poi il 3.

Giornata mediamente importante.
Iniziata con una sveglia all’alba. Giusto per prendere un pullman carico di studenti chiassosi. Cuffiette bianche nelle orecchie, Kosheen per iniziare col mood giusto la lunga giornata e una sana dipendenza da twitter-on-the-go.
Giro mattiniero (troppo maniero) per i negozi (ancora chiusi) di Milano alla ricerca dei famosi dvd per mia madre.. Due di questi (Il pianista e La rosa bianca) li ho trovati alla Fnac. E li ho presi senza pensarci troppo. Peccato che poi li trovati pure alla Ricordi. E avrei speso, in totale, 7€ in meno. E ovviamente “alla Fnac trovi il prezzo più basso garantito” sono anni che non vale. Alla Ricordi ho trovato pure Rosenstrasse. A 25,90€. Ma siam pazzi? Edizione normalissima, confezione in plastica ultraleggera, quindi probabilmente non ha neanche il libretto. Per un film – ok, introvabile – ma del 2001! Persino i Simpson in Blueray costavano meno! E tra l’altro secondo la Feltrinelli Garibaldi (che poi è la stessa catena di negozi) doveva costare 10-15€. Peccato che in magazzino non ce l’abbiano. Ma a fine mese dovrebbe arrivare. Speriamo.
Poi metro per il colloquio parte 2. Andata bene anche questa. Ci si vede lunedì per discutere le ultime questioni.
Pranzo con una cara amica universitaria, che non vedevo da un bel po’. Mi ha stupito con un pensierino per il compleanno. Un altro braccialetto (ma si capisce così tanto che mi piaciono?). È strano. Molto strano. Anelli e sfere di metallo. Non so che materiale sia. Chiaro e scuro. Con dei petali. Che fanno contrasto. Boh. Una cosa strana.
E questo si aggiunge all’incetta di regali. Love mi aveva preso per S.Valentino un altro Cactus Pups di Tokidoki. Ma sfortuna vuole che fosse il Tristino giallo con salsiccia che già  ho. Quindici per cento di sfortuna di beccare lo stesso. E sfortuna è stata. E per il compleanno invece mi ha preso Ciao Ciao. In attesa che alla Supergulp arrivi anche Adios. La Magenta Desk Family si sta espandendo. Bene bene.
Poi, per finire la giornata, ho accompagnato la mia amica a Garibaldi. E volevo prendere un treno per tornare a casa. Una macchinetta funzionante. E mi ha mangiato i soldi. Senza darmi il biglietto. Tranne poi accorgermi che per terra c’era un foglio, con dello scotch. Quello bianco, trasparente. “Emettitrice rotta”. Bene. Così erano tre macchinette rotte. Tre su tre. E attaccare meglio il foglio di avviso no? Oppure disattivarla da remoto, no? E così, nel frattempo avevo perso il treno. E per il nervoso ho lasciato perdere. E son tornato a Lotto. E ho preso il pullman. E Trenitalia la sopporto sempre meno.

Ain’t nobody

Tante, troppe sensazioni ed emozioni. Voglio trasformarle per sempre in bit e byte. Per poterle riassaporare in futuro.
Ma il sonno avanza e domani la sveglia non ammetterà  errori. Una giornata importante mi attende. Affido quindi tutto alle parole di questa canzone. Chaka Kahn.

Got you effortlessly
That’s the way it was
Happened so naturally
Didn’t I know it was love
The next thing I got was you
Holding me close
What was I gonna do
I let myself go
Now we fly through the stars
I hope this night will last forever
I’ve been waiting for you
It’s been so long
I knew just what I would do
When I heard your song
Will my heart beat a wisp
You gave me freedom
You knew I could not resist
I needed someone
And now we’re flying through the stars
I hope this night lasts forever

Ain’t nobody loves me better
Makes me happy
Makes me feel this way
Ain’t nobody loves me better than you

I wait for night time to come
To bring you to me
I can’t believe I’m the one
I was so lonely
I feel like no one could feel
I must be dreamin’
I was this dream to be real
I’m in this feelin’
I make my wish upon a star
And hope this night will last forever

Ain’t nobody loves me better
Makes me happy
Makes me feel this way
Ain’t nobody loves me better
Ain’t nobody loves me better than you

First you put your arms around me
Then you put your charms around me
I can’t resist this sweet surrender
Oh my mind’s so warm and tender
We stare into each other’s eyes
And what we see is no surprise
Got a feelin’ most would treasure
And a love so deep we cannot measure

Ain’t nobody loves me better
Makes me happy
Makes me feel this way
Ain’t nobody loves me better than you

Il biglietto che non c’è

Perchè ho affrontato isterica, i suoi discorsi su quanto è pericoloso fare benzina al self service di notte con tutta quella brutta gente che gira in giro e mi ha fatto perdere 20 minuti per nulla.
Perchè c’è qualcuno che mi sta occupando la doccia.
Perchè quando sono andato su a prendere il bigliettino nel cassetto, isterica si è messa a fare la ficcanaso come sempre, chiedendo cosa stessi facendo e cosa stessi cercando.
Perchè in redazione come sempre, mi hanno trattenuto più del dovuto.
E perchè non mi va di arrivare a mani vuote.
Però, alla fin fine, sarà  così.

Sale e pepe.
Sempre insieme.
Mai si separano.

Per il mio primo s. Valentino passato con Te.