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Manca poco

Manca poco, veramente poco.

E poi la chiamata per l’ok, il computer che si spegne, una riordinata alla scrivania e la porta dell’ufficio che ci chiude alle mie spalle, per non doverla più riaprire per una decina di giorni.

E sento, salirmi in corpo, un senso di sollievo, tranquillità e spensieratezza.

CVD #2

Come volevasi dimostrare.

Questa sera non funzionavano gli automatismi per l’inserimento in pagina dei palinsesti televisivi. Chissà perchè.

Un’ora al telefono persa col tecnico (in trasferta a Roma) per risolvere il problema, che mi trattava pure da tecno(mac)leso. Parlava di “lente in alto a destra” per riferirsi a Spotlight, di “l’icona con la faccia” per riferirsi al Finder, di “trascina senza rilasciare” per il drag&drog.

Comunque, chissà perchè, il database aveva esportato i dati su file con il nome sbagliato e quindi non venivano letti dallo script. Ho dovuto cambiare, più o meno a mano, tutte le istruzioni all’interno dei vari script, ovviamente non toccando gli originali.

Bello, vero?

Tempo

Questa giornata non passa più. Nel gruppo di lavoro si respira una brutta aria. Anzi, ci sono un bel po’ di cose che non piaciono. E così, pur se mi stavo divertendo ad impostare lo speciale (finalmente qualcosa di anche solo lontamente creativo!), in realtà, oggi, mi sembra che il tempo non passi più. E non vedo l’ora di salire in macchina e viaggiare verso casa. Magari è solo colpa dell’estate che sta arrivando e della stanchezza accumulata. Però, al momento, non ce la faccio più. E meno male che sono sull’altro tavolo, per i fatti miei, dando le spalle al mondo.

Soddisfazioni

Più di un anno fa ero stato contattato da una ditta per rifare il loro sito internet. Nel frattempo, però, avevano bisogno di aggiornare i dati sul loro vecchio sito, in fretta e furia, in previsione di una fiera. Avvisato dal venerdì per il lunedì. Lavoro fatto, il più velocemente possibile, litigando con un sito pessimo, in flash, a pagine singole. Assurdo.

E poi, parte il lavoro di progettazione del nuovo sito. Un paio di bozze di design presentate, mentre pensavo al motore che lo avrebbe gestito. Mail mandate e mai una risposta ricevuta. Quando chiamavo, erano sempre troppo impegnati.

E oggi, hanno chiamato. Sì, beh, ecco, insomma avevamo quel discorso in ballo per il nuovo sito. Poi, nel caso, se non puoi più seguirlo, ci mettiamo d’accordo per pagarti quella parte di lavoro che comunque avevi già fatto.

Queste son soddisfazioni. O no?

L’inizio della settimana

Ok, per me è già finito il primo giorno lavorativo della settimana. Così, fortunatamente, domani non avrò la crisi del lunedì, come succede alla maggior parte di voi. E, ancora più fortunatamente, di solito la domenica è un giorno tranquillo, quindi non è neanche troppo doloroso tornare in quell’ufficio.

Beh, questo di solito. Non oggi. Non oggi, tra persone in ferie, colleghi malati e uno “speciale estate” da preparare assolutamente il prima possibile, per non ritrovarci all’ultimo momento a strapparci i capelli.

Risultato? Io ho seguito lo speciale estate. E non ho avuto un secondo libero. E’ già tanto se sono riuscito ad alzarmi dalla sedia. Finchè, verso le 22.30 la mia collega/responsabile annuncia “Ciao io vado, ho controllato tutto, c’è solo da finire le prime”. Quella collega/responsabile che non più di una settimana mi ha addossato la colpa di un errore dinanzi al grande capo.

E quindi? Niente. Io ho continuato con il mio speciale (e il più, fortunatamente, è fatto), lo stagista ha finito le prime, le abbiamo inviate e mentre attendevamo la conferma da parte della tipografia (a cui avevano comunicato un numero di pagine errato) abbiamo finito un’altra pagina dello speciale. Così siamo usciti da lavoro alle 23.30, assieme ai giornalisti (è un fatto rarissimo, visto che loro iniziano prima di noi grafici e finiscono – ovviamente – prima).

Lei, bella bella, su una poltrona del Bicocca Village a godersi Batman. Io, stanco, in macchina mentre affrontavo l’autostrada con occhi un po’ troppo pesanti.

No comment.

(Brutti) giorni di lavoro condensati in un unico post

Come dicevo qualche post fa, ormai certe cose che succedono a lavoro non mi danno più così tanto fastidio, ultimamente. Però mi è venuta voglia di scriverle. Non so perchè.. sicuramente non per sfogarmi, come prima. Forse come promemoria, per ricordarmi di come si comportano certe persone e non far cadere nel dimenticatoio certi fatti.

Fatto sta che nei giorni scorsi c’è stata una “transizione” di un cliente. Era cambiato il sistema di “chiusura” dei file, che prima in realtà venivano lasciati aperti. Poi, di punto in bianco, quando già avevamo lavorato il tutto al solito modo, veniamo avvisati che in realtà deve essere chiuso e mandato in tipografia in pdf.

Già.. in pdf. Come se il pdf non ha miliardi di impostazioni. Come se esiste una sola tipografia al mondo. E, dovendo chiudere il file praticamente abbiamo dovuto rifare tutto, visto che prima la lavorazione delle immagini era un puro segnaposto, visto che poi ci pensavano altri a concludere il tutto. Il capo, quando chiedo dettagli sulle impostazioni per il pdf cade dalle nuvole. Mi passa il numero di questo nuovo responsabile. Provo a chiamarlo. Ovviamente era irraggiungibile. Quando finalmente riesco a contattarlo.. mi risponde decisamente male, con un “Io ho pagato per 8 pagine chiuse, tutto il resto son cavoli vostri”. No comment.

Chiudiamo questi cavolo di pdf in qualche modo, possibilmente alla più alta qualità possibile (che vi si intasi l’ftp!). Peccato che era impossibile fargli intasare l’ftp.. visto che non ci avevano dato l’indirizzo. E questo simpaticissimo tizio era ormai irraggiungibile, visto che non rispondeva più all’unico recapito che avevamo. No comment, again.

La mattina un’altra collega riesce ad inviare il tutto. E, ovviamente, non andava bene. Chiamano, arrabbiati neri, perchè loro-dovevano-andare-in-prestampa-e-noi-stavamo-bloccando-tutto. Mancavano le marcature, i crocini (queste cose, dirle, no?) ed erano sbagliate le dimensioni di pagina. Ebbene sì. Le avevano cambiate, senza dirci nulla. La collega sistema tutto al volo. Poi segue lei la cosa per aggiornare le varie mastro con le nuove dimensioni, i nuovi font, il nuovo stile. Poi la collega va in ferie.

E questo lunedì inviamo le nuove pagine. Le inviamo lunedì pomeriggio, tranquilli che tanto le mastro erano state aggiornate. E invece.. ci chiamano martedì pomeriggio, mentre io ero al bar. Arrabbiati neri, perchè era di nuovo tutto sbagliato. Parlo di nuovo col simpaticone, che si arrabbia perchè gli ho chiesto cosa non andava visto che (secondo lui) dovrei saperlo. Ma visto che lui non ha parlato con me e visto che la cosa non l’ho seguita io, forse era il caso di dire gli errori così potevo sistemarli in fretta, visto che poi loro-dovevano-andare-in-prestampa-e-noi-stavamo-bloccando-tutto, again. E lui, maleducatissimo, come al solito. E quindi a sistemare tutto al volo, in un’agitazione tremenda, con la paura – per la fretta – di fare qualche altro errore. Ansia. Poi, finalmente, spedito tutto. Momenti di panico, ogni vlta che squillava il telefono, temendo fosse lui, di nuovo, arrabbiato. E invece, fortunatamente, era tutto a posto. Avevo sistemato nel giro pochi minuti quel che la mia collega avrebbe potuto fare, con calma, in una settimana.

E poi, ieri. Problema con una pubblicità, uscita male (malissimo) in stampa. Un po’ di indagini.. e si scopre che è un bug di xPress. O meglio, xPress che non digerisce certi pdf, ma se ne frega, non da’ messaggi di errore e l’unico modo per accorgersi dell’errore è con i controlli, visivi, che si fanno a fine serata, dopo una lunga giornata. Controllare pagine di box pubblicitari che non assembliamo noi, che non sappiamo come dovrebbero essere nè le “criticità” da controllare. Comunque, si era instaurato un dialogo tranquillo e sereno, volto alla risoluzione del problema, sia col responsabile del progetto, sia col signore che ci passa le pubblicità, sia poi col capo, in una riunione che non finiva mai. Un’ora e passa in quell’ufficio, a gelare, vista l’aria condizionata puntata sulla temperatura polo Nord.

Tutto tranquillo, si vagliano le soluzioni, si parla, si decide cosa fare, si muovono un po’ di battute e frecciate, finchè la collega non se ne esce fuori con un “beh, ma chi doveva fare i controlli finali per quelle pagine?”, guardando verso di me. E lì, sinceramente, non ho avuto parole. Perchè sì.. il controllo finale di quelle pagine l’ho fatto io. Peccato però che quelle pagine vengono controllate sia quando si fanno (e le ha fatte un’altro collega se non sbaglio), sia al momento della spedizione (ed è lei che le controlla e le spedisce), sia il controllo finale (che di solito, per quell’intervallo di pagine, faccio io). Però, insomma. Una cosa così, col capo, non si dice, nè si fa. Perchè non si stava parlando di un “mio” sbaglio, di chi era la colpa. Si stava parlando in generale. Siamo un gruppo e si lavora in gruppo. Ho sempre pensato che lo sbaglio di uno fosse lo sbaglio del gruppo. Ma se è così che deve funzionare.. beh, allora qualche sassolino dalla scarpa me lo voglio togliere. Perchè, insomma, vogliamo parlare di quando, qualche giorno fa, è andata su due pagine affiancate, la stessa pubblicità? E lì, in quel caso, chi doveva il controllo finale? Chi le aveva lavorate quelle pagine? E mi sembra che, in quel caso, non si è andati dal capo a parlarne. E io, non ho lanciato frecciatine e battutine, io, in quel caso, non ho detto nulla a nessuno. E io, non ho sottolineato il fatto che quell’errore non fosse mio, ma suo. Perchè, anche io, un po’, mi sentivo in colpa, per non aver controllato anche io, di nuovo, quelle pagine che già lei avrebbe dovuto controllare e che non erano mio “compito”.

Ma a quanto pare, sbaglio sempre come comportarmi.

Sbaglio a dare fiducia a certi colleghi.

E forse, io, dovrei pensare a ripagare qualcuno, con la stessa moneta.

E da questo momento, mi spiace, noi non siamo più un team.

Io sono io e rispondo solo dei miei errori.

Leggende da economista

Ricordo ancora le parole della mia professoressa di Organizzazione e Gestione Aziendale. Una volta, durante una lezione, ci ha raccontato una storiella, la solita leggenda – come tante altre – del mondo dell’economia. Leggende che, spesso, vedono come protagonista lo Steve o Apple. Comunque, questa storiella parlava di un grosso problema che affliggeva una fabbrica di chip di Sony. Ogni giorno, ogni mezz’ora, la maggior parte dei chip prodotti dovevano essere buttati perchè non funzionanti. Nessuno riusciva a capire cosa c’era che non andava, visto che tutti macchinari erano a posto e i chip prodotti in altri momenti erano perfettamente funzionanti. Così, il grande capo di Sony, scese in fabbrica (e si sa che gli uffici dei capi sono sempre sopra le fabbriche) e si mise a parlare con tutti i dipendenti di questo problema. Parlò con i tecnici, con i responsabili della manutenzione, con gli ingenieri, ma non venne a capo del problema. Finchè non gli capitò di scambiare due chiacchere con una guardia, che gli fece presente che ogni mezz’ora passava un treno sulla linea ferroviaria lì vicino e il passaggio si sentiva anche in fabbrica, con delle vibrazioni. E, così, ecco spiegato il motivo dei chip malfunzionanti ogni mezz’ora.
E tutti noi, studenti di economia, a dire “oooooh”, pensando al fatto che una guardia era riuscita a risolvere un grossissimo problema che neanche ingenieri e tecnici erano riusciti a risolvere.
E la professoressa a parlare di quanto sia fondamentale per il managment rimanere in contatto con tutti i livelli della loro azienda, mantenere buone relazioni, essere veramente informati su quel che succede e toccare con mano la realtà della società.

E non so perchè, oggi, in macchina, passando di fianco a vecchi padiglioni della fiera ora abbattuti, mi è venuto in mente. Forse perchè ripensavo alla situazione a lavoro. Che non ha esattamente lo stesso alone mistico della leggenda. E che assume, invece, tinte un più cupe. O, volendo, un’accozzaglia di colori buttati a caso, senza alcuna logica. Un’accozzaglia da cui, sono spariti recentemente due ottimi elementi che davano valore, estro e bravura alla composizione. Ma, il managment, non sembra avergli dato troppo peso. Tanto, morto un papa, se ne fa un’altro. No?

Però mi sono reso conto di accorgermi di molte cose. Che – nonostante tutto – quei 4 anni di economia non mi sono scivolati via e mi hanno lasciato una grossa impronta. Mi rendo conto di poter sapere, a livello teorico/economico-manageriale, come andrebbero fatte/gestite certe cose. E mi rendo conto che so pure, a livello pratico/grafico, come vanno fatti certi lavori. E per questo, mi permetto di giudicare. E di non apprezzare quel che vedo.

Nervosismo e mal di testa

Giornata massacrante a lavoro. Un sacco di facce nuove, tra quelli dell’altra redazione, i 3 stagisti e il nuovo giornalista.
Giornata di una lunghissima e inutile riunione, in cui ci è stato detto che dobbiamo preparare l’impostazione grafica per un nuovo mensile di 100 pagine, entro il 10 di giugno. Si, certo, se solo avessimo almeno 5 minuti di tempo, potremmo farlo.
Giornata di tristezza per una collega che se n’è andata. Arrivata a lavoro come tutti i giorni, chiamata a colloquio dal capo con suo solito “scusa hai cinque minuti?” e poi, una volta uscita dalla stanza, ha preso tutte le sue cose e ciao a tutti, me ne vado. Ma tutto questo è successo quando io non ero ancora arrivato, quindi non neanche avuto modo di salutarla.
Giornata di fastidio per il modo tremendo in cui certe cose sono gestite. Per il modo assurdo in cui si viene trattati, per l’idea di essere usato fin quando sei necessario per poi essere buttato via senza troppi complimenti, per le vendette da bambini dell’asilo messe in atto da chi ha il potere.
Giornata di aria gelida che mi arrivava addosso dalle bocchette del climatizzatore, con conseguente congelamento dello stomaco, malessere generale fino ad arrivare ad un bel mal di testa tremendo che neanche ora non accenna a passare.
E ora, sinceramente, mi rintano sotto le coperte e voglio spegnere questo cervello che rimugina troppo su certe cose.
E ora, sinceramente, voglio fare finire questa giornata.

Cronache di un open space

Giornata di cambiamenti a lavoro.
Appena arrivati, ci siamo accorti che i computer si erano moltiplicati. Sono comparsi 8 nuovi iMac bianchi, una nuova stampante, qualche telefono e sedia in più. Il gossip d’ufficio fa sapere che si trasferirà qui da noi la redazione di un giornale che in parte gestiamo. E già ci stiamo preoccupando per queste 8 persone in più che parleranno, risponderanno al telefono, respireranno. L’open space potrebbe diventare invibile.
Così abbiamo di goderci il nostro ufficio per l’ultima volta, oggi che eravamo veramente in pochi. Oggi che sembrava che i telefononi, i giorlasti e il mondo fosse in scoperto. Se non fosse stato per il mitico mago hi-tech dell’azienda che ha chiamato miliardi di volte per fare delle prove con il centralino. E passami l’interno tal dei tali e mettimi in attesa e mannaggia la musichetta non funziona aspetta che ti richiamo subito.
A fine giornata ho ripulito il mio adorato Power Mac G5 (ultima revisione :D), visto che da domani non sarà più mio: se ne imposseserà un altro stagista. E ho preferito ripulirlo un po’, togliete tutte le personalizzioni che avevo messo.
Finirò su un’altra scrivania, lontano dai colleghi del mio gruppo di lavoro, il che complicherà un po’ il coordinamento delle attività. Però avrò davanti ad un iMac nuovo. Ci guadegnerò in potenza, ma quei computer non sono fatti per fare grafica. Lo schermo lucido, tra luci al neon e finestre, fa troppi riflessi ed è troppo – troppo – contrastato. Ma vallo a spiegare ai grandi capi. Gli stessi capi che hanno pure comprato un’altro iMac nuovo per un giornalista. Quando ci sono altri grafici che hanno anche un G5 singolo processore che va a manovella.
E oggi abbiamo salutato il “nostro” giornalista. Che da domani non ci farà più parte del gruppo, seguendo altri progetti. Sì, ok, sarà a 4-5 metri da noi. Ma non sarà più la stessa cosa. Le pause, gli scambi di sguardi, le imprecazioni quando xPress si chiudeva inaspettamente (mentre non rispondeva). Sigh sob.
E oggi ha fatto un regalo a tutti. Uno di quei blocchetini per appunti, un ArtMeno. Con disegno personalizzato, ovviamente. A me l’ha preso con l’uomo vitruviano di Leonardo. Dopo la mia filippica contro il banalissimo logo dell’Expo 2015. Non so perchè, ma da quella mia filippica sono diventato colui che critica i loghi. Come se non ci fosse nulla che non mi piace. Non è mica vero!
E la serata è finita con un po’ di sano gossip da ufficio. Ci saranno altri cambiamenti in quell’open space. E molti stanno affilando i coltelli, visto che questi cambiamenti non sono affatto graditi. Sarà, ma in quell’open space l’aria si fa sempre più pesante.