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[Postumi del] Natale

Oggi, sveglia presto.

Giornata praticamente intera di studio a casa di una mia carissima amica, che non vedevo da un sacco, addirittura da prima di Natale.

E così, c’era ancora in sospeso il discorso regalo. Che lei, per me, aveva comprato. E io, come al solito, non ci avevo mica pensato.

E quest’anno, cosa mi ha regalato?

Un libro. Bellissimo. Grosso, grossissimo, assolutamente patinato.

 
LE NUOVE FRONTIERE DELL’ARCHITETTURA
GLI EMIRATI ARABI UNITI TRA UTOPIA E REALTÀ
Formato cm 26 X 36
Pagine 304 pagine a colori
Edizione 2008
ISBN 978-88-540-1005-5
Marchio Edizioni White Star®
NOVITÀ 2008
Cartonato con sovracoperta

La spilletta di Ursula Dufour

Oggi ho ricevuto la mia prima spilletta, quella che potrebbe essere l’inizio di una collezione. E’ arrivata per posta, in una lettera, da parte di Manila. Insieme alla spilla una fotocopia, con dedica, della quarta di copertina del suo libro, che ho ordinato e che sto aspettando: sembra che qui al Nord, in Lombardia, non viene distribuito. E che non vedo l’ora di leggere, soprattutto dopo questa recensione, che ha confermato la mia fiducia nella bravura di Manila, e i primi capitoli, disponibili qui.

Seguo il suo blog da un po’ e mi piace il suo stile, il suo modo di scrivere. Molte volte mi son sentito vicino a lei, simile a lei, nutro anche io, a volte, spesso, dubbi e paure sul mio me stesso, sul me stesso che appare, sul me stesso che vive. E mi ci sono affezionato. Mi spiace che ultimamente scrive poco, ma mi piace pensare che è presa dalla vita, dal lavoro, dal suo libro.

Con una calibro 9 uccidi due uomini di seguito, se sei brava.

Non conta prendere la mira per bene, non nel mio caso, bensì aver la forza di premere il grilletto in ogni situazione, in ogni condizione, con ogni sentimento.

Senza cadere alla forza del rinculo.

Quando ancora non sapevo usare una pistola, infatti, la forza del rinculo era una filosofia di vita. Era resistente alla vita stessa. Poi è diventata tutta un’altra cosa.

Questa sono io, Ursula Dufour. Sono una donna brava e bella. Me lo ripeto sempre.

Non ho pietà quando uccido, eppure amo, amo profondamente.

Può un sentimento come l’amore convivere con la professione della morte?

Può la sincerità di una lettera far comprendere le motivazioni di una vita di bugie?

Può essere più semplice uccidere che pensare di morire?

Rispondetemi voi.

Io sono una e sono cento, sono Medusa e Machbet, sono una donna senza passato.

Questo è un pezzo della mia storia. Scrivo sempre dopo i miei lavori. Me ne sto con la penna per ore davanti alla finestra, aspettando che faccia notte e che si plachi la Bestia.

Quando la notte è troppo lunga, e non si placa la mia Bestia, spalanco i vetri e scrivo ancora.

E’ un rito come esircitare una litania in Chiesa. Ma io scrivo, non prego. Non ho mai saputo farlo, nessuno mi ha mai insegnato a farlo.

Io scrivo e non prego. E nella scrittura ritrovo il mio dio.

In questo libro vi racconto un pezzo della mia storia, ve lo affido con una promessa inquietante: la verità è un prezzo altissimo da pagare.

Manila Benedetto
“Nessuno mi ha mai battezzata”
Enrico Folci Editore

Brividi. E voglia di leggere.

Pensava spesso al suo suicidio. Ed altrettanto spesso ci provava. Ma di solito sbagliava sempre qualcosa: una dose, un luogo, un’ora, la quantità di coraggio al momento decisivo. Ogni volta che ci pensava e ogni volta che ci provava, era solita mettere un sasso in un sacco decorato che le aveva regalato suo padre, e lo conservava in un angolo della stanza. Quel sacco rappresentava il senso della sua vita. Quella che si era concessa.
Tentava il suicidio ogni dieci giorni. Tre volte in un mese. Trentasei volte l’anno. Da ormai sei anni. Aveva sbagliato duecentoquindici volte.
Quella sera i sassi sarebbero diventati duecentosedici. Un sacco pieno. Stracolmo. Tanto pieno che non ci sarebbe entrato neanche un altro sasso, un altro tentativo. Un’altra possibilità, altri dieci giorni. Fu così che se ne rese conto. Di se stessa, della vita, dei suoi tentati suicidi, di quello che fino ad allora aveva ignorato. E capì cosa avrebbe dovuto fare.
Si mise la giacca, varcò la soglia portando con sé il sacco. Lo spinse lungo le scale. Poi lo trascinò lungo il vialetto, fin verso la scogliera, quella che ogni giorno guardava dalla finestra. Respirò l’aspro profumo del mare, e poi, sicura di sé, lo lanciò verso il fondo.
-Ho sempre sbagliato tutto – pensò ad alta voce – ma dagli errori s’impara.-
La sua voce sfumò mentre il peso del sacco la portava sul fondo degli abissi.

Scritto da Manila Benedetto e incluso nella raccolta di brevi racconti “Rac-corti” a cura di Andrea Careri per LAB di Giulio Perrone Editore

Piombo: Subsonica per Roberto Saviano

L’aria è più pesante che mai quando un fantasma ci ruba l’ossigeno
Quando il futuro è solo piombo su queste città
Sotto una cupola che sembra la normalità.
L’aria è più pesante che mai e brucia tanto che manca l’ossigeno
Troppi silenzi in quel cemento che già sanguina
Troppe speranze nel mirino che ora luccica.

Queste le crude parole mandate in loop, durante il concerto dei Subsonica. E’ il ritornello di Piombo. E il gruppo ha dedicato la canzone a Roberto Saviano (autore del libro) e a tutti coloro che combattono contro quel mostro della malavita organizzata. Troppo organizzata. Insopportabile in uno stato civile, nel 21esimo secolo.

Facilmente

A volte mi chiedo come possa essere così dannatamente condizionabile.
Non parlo dello Steve che riesce a farmi comprare di tutto, non parlo di acquisti pazzi di conigli parlanti o di custodie ultracostose..
Questa volta parlo di un libro.
Un libro che mi ha colpito per due cose.
I colori della copertina e il disegno della copertina stessa.
Bene. La copertina è nera e magenta. Io ho sempre odiato il nero e persino qualsiasi forma di rosa, rosino, rosone. Fin quando non ho scoperto la questione del copyright sul colore magenta. E ho creato questo blog, dalla grafica nera e magenta. E così capita che passeggiando tra gli scaffali della libreria alla ricerca di tutt’altro (Autrobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein) capita che vengo attirato da quei due colori, colori che mai e poi mai avrei pensato avessere potuto attirare la mia attenzione.
E poi il disegno.. un passeggino magenta, spinto da un uomo elegantoso con un gessato a righe magenta, con al suo interno una beby morte con tanto i falce e fiocchetto magenta. E “Un lavoro sporco” come titolo, ovviamente in magenta. E come potevo quindi esimermi dal fermarmi e leggere il retro della copertina?

Charlie aprì la porta della stanza lentamente, per non spaventare Rachel. Già si aspettava un affettuoso sorriso di disapprovazione e invece la trovò che dormiva, o almeno così gli parve. E accanto al letto c’era un uomo di colore molto alto, vestito verde menta.
‘E lei cosa ci fa qui?’
L’uomo verde si voltò, allarmato. ‘Può vedermi?’. Si indicò la cravatta color cioccolato; per un attimo Charlie pensò a quelle mentine sottili che ti fanno trovare sul cuscino negli hotel di categoria superiore.
‘Certo che la vedo’. Che cosa ci fa in camera di mia moglie?’
‘Questo non va bene’ disse Verde Menta

A pensarci.. una situazione da brivido. Eppure mi ha strappato un sorrisino… E così l’ho comprato.