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Cronache di un matrimonio Bergamasco

Ne parlo solo ora.

Forse perché è stato un giorno veramente bello, anche se ero solo un invitato, diventato amico – quasi per caso – dei due sposi.

È che ho aspettato tanto questo matrimonio. Rivedere gli amici, Bergamo alto, vivere con piacere questo giorno importantissimo di due persone con cui mi sono trovato subito bene, che apprezzo e verso cui nutro molto ma molto affetto.

L’arrivo a Bergamo, il pranzo rinfrescante con melone e prosciutto, poi lo shooting della vestizione di una spùsa piuttosto agitata. Il tutto accompagnato da una buona dose di bollicine.

L’arrivo alla chiesa in Bergamo Alta. Una chiesa bella, anche se piccolina. Tanti, tantissimi invitati. Il saluto allo sposo, ovviamente fighissimo.

Poi l’arrivo di lei. Che scende splendente dalla macchina, in un vestito semplice, ma veramente bello. Un vestito che esprime tutto quello che è lei, tutta la sua personalità.

L’entrata in chiesa e le corse su e giù per fare foto, visto che ero uno dei due fotografi ufficiali.

Ero lì, ad immortalare tutto in digitale. E non ho fatto a meno di emozionarmi quando lei si è bloccata, emozionata e accennato una lacrima. Continuavo a ripertermi in mente forza, G., non ora, non ora, vai avanti, guardalo, guardalo, vai avanti, concentrati che ce la fai. Piccola cosa, ma è stato bello aver vissuto questo momento. Vederti sorridere con gli occhioni lucidi, guardare prima lui, poi il prete e poi andare avanti nel pronunciare quelle parole.

È stato bello vedere l’A. chiedere al prete il permesso di baciare la sposa, come se non l’avesse mai fatto, timidamente, come fosse la prima volta.

Poi il mare di folla fuori dalla chiesa. Parenti e amici, tutti lì per loro.

E poi la trasferta al Roof Garden, all’ottavo piano dell’Hotel San Marco. Un posto magnifico. Una vista magnifica su tutta la città. E mentre il sole tramontava dietro Città Alta, il panorama diventa ancora più bello.

Nouvelle cousine, con porzioni minuscole, in bicchierini, ma a getto continuo. Di tutto. Insalate, pesce, carne, formaggi, prosciutto. Bollicine a getto continuo. Chiacchere, chiacchere, risate, chiacchere, foto e risate.

Poi l’open bar e le 3 vodka lemon. E la sala trasformata in un dance floor fino alle tre di notte, con pochi, pochissimi irriducibili rimasti fino alla fine.

Un bel matrimonio. Non solo per tutto ciò che era accessorio, ma anche la funzione in sé.

E la cosa mi rattrista. Mi rattrista se penso a me. Al fatto non potrò vivere tutta la pomposità e le emozioni di un matrimonio in chiesa e mi dovrò accontentare di uno civile, quasi sicuramente non Italia, probabilmente con pochi pochissimi amici e quasi nessun (mio) parente.

Ricordi preziosi

Torno a casa mentre i primi raggi di sole illuminano la volta scura del cielo, disegnando nubi dalle varie forme.
Torno a casa mentre qualche goccia sola e annoiata scivola senza forza sul parabrezza.
E mi rendo conto che è tardissimo.
Ho poco, pochissimo tempo prima che Morfeo mi colga di sorpresa, affievolendo i ricordi di questa bella serata.
Ho poco, pochissimo tempo per fissare nei ricordi questi momenti di tenerezza vissuti con Te.
E, mentre chiudo gli occhi dal sonno, là fuori si risveglia la vita.
Tanti uccellini cantano felici un inno al nuovo giorno appena iniziato.

Il momento

Giornata strana. Piena di emozioni. Molte positive, altre che lasciano un po’ l’amaro in bocca.

Giornata iniziata bene, benissimo. Con il tempo che volava via. E non basta mai, in certi momenti.
Poi la corsa a lavoro, fortunatamente senza traffico. Il sogno di un w-end rilassante che si infrange, per l’incapacità di programmare di qualcuno. Lo stress anticipato per la giornataccia lavorativa di domani, senza i nostri giornalisti e con venti miliardi di cose da fare. E, nel frattempo, il momento della scelta: arrivato, presto, forse troppo presto.

Ma come faccio a scegliere ora, tra 10 giorni cosa farò e dove sarò a settembre?

Caldi raggi del sole su Milano

Oggi è stata una bella giornata. Il bel tempo di oggi e i raggi del sole mi hanno scaldato. Non solo fisicamente, ma sono riusciti ad arrivare persino nel profondo del mio animo e del mio cuore.
Forse non è stato tutto merito del sole.. sarà stato il fatto che oggi ho eliminato la routine che mi vedeva tutto casa, letto, sveglia, doccia, pappa, autostrada, parcheggio, reclusione a lavoro, autostrada di notte, casa, letto. Visto che sono uscito in piena mattina per fare una commissione a Milano, sperando anche di vedere un caro per pranzo. Ma non ho portato a compimento nè la commissione, nè il pranzo. Ma ho sfruttato la giornata bella giornata per camminare per tutta milano. Da zona Missori a piedi verso piazza Duomo (quant’è bello il Duomo bianco e luccicante!), per poi fare Cordusio, Cairoli, andare al Castello e attraversare tutto Parco Sempione, che pullulava di vita, tra tenere coppiette sdraiate a prendere il sole, amici che giocavano a calcio, mamme e nonne a passeggio con i pargoli. E tutta questa passeggiata, con le fide cuffiette bianche nelle orecchie, per arrivare fino in via Giusti per l’open day di Arte & Messaggio. E sì, se riesco a superare il test, voglio proprio frequentarla.

Applausi al buio

Serata interessante. Alla fine, anche le ultime persone che ci tenevo mi facessero gli auguri, me li hanno fatti. Con qualche giorno di ritardo, ma me li hanno fatti. E sono contento.
Poi, dopo questa sera. Si sapeva che era una serata tiramisù fatto apposta per me. Ma il trovare anche altri 2 amici e le 23 candeline messe sulla torta. Disposte perfettamente in 3 file da 5 intervallate da 2 file da 4. Il buio, il bagliore della fiamma. Era tanto che non lo facevo. Era tanto che, sperando di non fare figuracce lasciando qualche candelina accesa, tentavo di esprimere un desiderio. Che al momento, non ricordo neanche qualche è stato. Sempre che l’abbia espresso nella foga del momento, sentendomi un bambinetto più del solito.
Io, ormai, di desideri non credo di averne così tanti. Sì, ci sono sempre i soliti, tristi e banali. Come ad esempio un conto in banca con una vita propria e aumenta sempre di più. O il mega villone a due piani, su una dolce collina, con entrata dal piano superiore e piscina sul terrazzo.
Ma non mi interessa. Non mi interessano più lcd, computer, playstation, supertelefono. Sì, ok, è vero. Si può obiettare: sono di parte. Ho un iPhone e ho un MacBook Pro relativamente appena preso. Ovvia che non ne abbia bisogno. Ma prima non ero così. Ma ora tutte queste cose non mi interessano. E rileggendo la wish-list mi faccio tenerezza da solo. Davvero ho bisogno di quelle cose, per la maggior parte inutili? Passino i pupazzetti di Tokidoki. Ma tutto il resto?
E che io, mi sento pieno. Soddisfatto. Appagato.
Non voglio dirlo troppo forte, perchè si sa che le gufate in questi campi funzionano sempre. Ma sto bene. Ho messo una sbarra sopra una strada sbagliata che mi stava portando chissà dove. E sto iniziando, passo dopo passo, a tracciare un cammino fatto a mia misura. Un paio di traguardi importanti in questo periodo li ho raggiunti. E, in ogni caso, in questo cammino, non mi sento solo.
Perchè c’è chi, camminando lungo la sua via, mi ha incontrato. E le strade si sono intrecciate. E queste strade intrecciate mi riempono. Mi fanno star bene. Non mi fanno sentire la futile necessità di altro.
Non posso sapere dove mi porterà la mia strada. Ma so che ora e adesso sono dove vorrei essere. Ed è già un gran bel passo avanti.

Brividi. E voglia di leggere.

Pensava spesso al suo suicidio. Ed altrettanto spesso ci provava. Ma di solito sbagliava sempre qualcosa: una dose, un luogo, un’ora, la quantità di coraggio al momento decisivo. Ogni volta che ci pensava e ogni volta che ci provava, era solita mettere un sasso in un sacco decorato che le aveva regalato suo padre, e lo conservava in un angolo della stanza. Quel sacco rappresentava il senso della sua vita. Quella che si era concessa.
Tentava il suicidio ogni dieci giorni. Tre volte in un mese. Trentasei volte l’anno. Da ormai sei anni. Aveva sbagliato duecentoquindici volte.
Quella sera i sassi sarebbero diventati duecentosedici. Un sacco pieno. Stracolmo. Tanto pieno che non ci sarebbe entrato neanche un altro sasso, un altro tentativo. Un’altra possibilità, altri dieci giorni. Fu così che se ne rese conto. Di se stessa, della vita, dei suoi tentati suicidi, di quello che fino ad allora aveva ignorato. E capì cosa avrebbe dovuto fare.
Si mise la giacca, varcò la soglia portando con sé il sacco. Lo spinse lungo le scale. Poi lo trascinò lungo il vialetto, fin verso la scogliera, quella che ogni giorno guardava dalla finestra. Respirò l’aspro profumo del mare, e poi, sicura di sé, lo lanciò verso il fondo.
-Ho sempre sbagliato tutto – pensò ad alta voce – ma dagli errori s’impara.-
La sua voce sfumò mentre il peso del sacco la portava sul fondo degli abissi.

Scritto da Manila Benedetto e incluso nella raccolta di brevi racconti “Rac-corti” a cura di Andrea Careri per LAB di Giulio Perrone Editore