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Il rientro a casa

Un film non visto, l’iPhone con la batteria morta, una profonda stanchezza che non capisco da dove venga, un evento dell’associazione bigiato, un mezzo incontro di lavoro saltato a piè pari, il rientro a casa che – bah.

E in questi giorni dovevo prendere delle decisioni.

E non le ho prese.

Tra due fuochi

Che poi, dalla brutta riunione che non mi è piaciuta neanche un po’, siamo finiti ad una situazione interessante.

Due fuochi dalle idee più o meno opposte e io rigorosamente in mezzo, a dover mediare il tutto e operare anche delle scelte.

Scelte che non sono in grado di effettuare. Da una parte la logica e la razionalità , dall’altra il rischio e la fiducia nel futuro.

Ma io sono dannatamente tentato di optare il rischio, rischiando di finire da solo in balia di me stesso.

Viaggio malinconico

Occhi fissi sulla strada, mente vuota, nessuna voglia di parole sentite o pronunciate. Solo una malinconica canzone di sottofondo.

For those who’ve slept
For those who’ve kept
Themselves jacked up
How Jesus wept
Sunday
Sunday

For those in need
For those who speed
For those who try to slow their minds with weed
Sunday
Sunday

For those who wake
With a blind headache
Who must be still
Who will sit and wait
For sunday, to be monday

Yeah, it will be ok
Do nothing today
Give yourself a break
Let your imagination run away

For those with guilt
For those who wilt
Under pressure
No tears over spilt milk
Sunday
Sunday

Sunday
Sunday

Sunday
Sunday

Yeah, it will be ok
Do nothing today
Give yourself a break
Let your imagination runaway

Yeah, it will be ok
Do nothing today
Give yourself a break
Let your imagination runaway

E tu dove ti immagini tra 5 anni?

Sarà  che forse ho risposto troppa fiducia in uno dei fumosi progetti che forse dovrebbero partire.

Sarà  che forse io con le persone non ci so fare molto e rimango sempre scottato.

Ma direi che la riunione di oggi, anche se magari è solo una brutta impressione che non ha significato alcuno, non mi è affatto piaciuta e non mi lascia presagire nulla di buono. Ho visto comportamenti e atteggiamenti che non mi sono piaciuti né da una parte, né dall’altra. E mi sono trovato pure in mezzo alle critiche l’uno dell’altra.

Così è successo che sono in uno stato di tristezza, abbattimento e delusione. Delusione profonda.

Una chiamata, interrotta bruscamente ringraziando non so se il Parrot, la Tre o l’iPhone, poi, mi ha fatto pensare a delle impressioni di altri, che ai tempi mi avevano dato da pensare e che poi avevo rimosso. Ma quello che mi sono ricordato, confrontato con quello che ho visto oggi non mi è piaciuto per niente.

Poi, non so come, tornando a casa in macchina, nella notte piovigginosa, mi è venuta in mente una domanda, che mi aveva fatto la psicologa del progetto orientamento di cui avevamo fatto parte all’ultimo anno del liceo.

Mi aveva chiesto dove mi immaginavo 5 anni dopo. Ora ricordo la risposta che avevo dato. Mi immaginavo nel mio favoloso studio di architettura e design. Un open space, tutto vetrate, tre grandi scrivanie grosse ed enormi, luminoso, dotato di Mac. Io e i miei due soci. Con uno di questi, un mio compagno di liceo, è successo che a fine anno non ci parlavamo neanche più. L’altro non ricordo neanche chi sia, in verità . Forse non era neanche un lui, forse era una lei, non ricordo più. O forse era solo una persona indefinita, perché ricordo che la psicologa diceva che dicono le cose funzionano meglio in tre. Ci vuole il pazzo creativo, il razionale e il terzo, che non ricordo.

Ora i 5 anni son passati. E sì, sono in un open space con scrivanie grosse ed enormi piene di mac, ma non è luminoso e non siamo solo in tre soci. E non è – ovviamente – mio.

Su friendfeed, nei giorni scorsi, circolava un thread con la stessa domanda. Io avevo iniziato a scrivere, dimenticandomi completamente che anni fa avevo già  dato una mia risposta. Ma poi ho cancellato. Scrivevo e cancellavo. Seriamente, io, ora, tra cinque anni, non lo so.

Lavorativamente parlando, non so dove sarò.

Però ad un certo punto, perso nel silenzio della macchina, mi è balenata una scena.

Un divano, una TV e due persone. Sì, tra 5 anni vorrei essere lì.

Io voglio far parte della soluzione

Ieri o l’altro ieri, da G. ho ricevuto una proposta via Facebook. Se accosentivo a pubblicare un suo scritto qui sul mio blog.

La mia risposta, la potete immaginare.

Un blog è una cosa molto personale e mi trovo un pò fuori posto a lasciare le mie parole sulla tua pagina, quel “Me or Not” che ho la fortuna di conoscere. Quello che esce dalla mia penna di solito lo tengo per me, non scrivo per altri, non dedico rime o poemi anche perché non sono in grado di scriverne, lascio andare le parole e quello che esce è solamente quello che sono. Questa volta è diverso, lo faccio volentieri, sono stato io a chiederti di pubblicare un mio lavoro, il perché non mi è ben chiaro o meglio, non mi è chiaro come si possa arrivare a questo punto.

Ti scrivo questa pagine perché voglio che tutti coloro che leggono questo blog sappiano che l’italia non è solo quella raccontata dai tg, non è rappresentata da idioti che usano le mani perché non hano un cervello, è ben altro.

Mi vergogno di vivere in un paese dove una persona che ama in modo differente da quello che la chiesa di Roma dice, viene picchiato, sfigurato, ucciso. La sua colpa è solo quella di amare, come può essere una colpa.

Mentre il resto del mondo avanza, riconosce diritti, progredisce, l’Italia va indietro, torna alle leggi razziali, sfocia nella violenza di adolescenti annoiati e senza idee.

Perché mentre il manganello può sostituire il dialogo le parole non perderanno mai la loro importanza.

Mi spaventa ancora di più il futuro, perché prima o poi i bambini che ora subiscono un bombardamento mediatico senza precedenti, bambini a cui viene insegnato a pulirsi il culo col tricolore, che vedono l’odio dilagare e che, non per colpa loro, pensano che sia normale, giusto. Perché se è un governo a fare determinate scelte, come fa un bambino a giudicarle?? È piccolo, assimila, queste immagini faranno parte della sua cultura, della sua identità .

Ecco, prima o poi, questi bambini saranno uomini e potranno scegliere, votare, decidere. E cosa succederà  in quel momento? Saranno in grado di decidere con la loro testa?? Sarà  davvero colpa loro un eventuale errore??

Questo ormai è il problema, ma io voglio far parte della soluzione.

Ti scrivo per affermare con assoluta convinzione che come me, eterosessuale e non per questo migliore, migliaia di persone credono ancora che gli uomini in quanto tali nascono liberi ed eguali.

Che sia nero, bianco, giallo o verde, alto o basso, grasso o magro, etero o gay, credente o meno, acculturato o ignorante. Ogni uomo o donna che sia è uguale a me, ed è alla pari. Non è meglio, non è peggio, siamo alla pari. Non esiste alcuna prova scientifica o morale in grado di affermare la superiorità  di una persona su un’altra e per questo condanno ogni tipo di razzismo, di violenza, di discriminazione.

Voglio che le mie parole vengano lette perché voglio che la gente che si sente parte di una minoranza, qualsiasi essa sia purchè non violenta o priva di significato, sappia che non è sola. Parlo per me e spero di parlare per molto altri, voglio vivere in un paese in cui ogni uomo è libero di comportarsi come crede purchè non leda i diritti degli altri, dove possa sentirsi sicuro, libero e rispettato. Non in un paese d’odio.

Le parole, le idee, cambieranno il mondo, lo rovesceranno, non la violenza. L’intelligenza fa progredire, l’ignoranza ci riduce a bestie.

Le mie parole sono la mia testimonianza, il mio impegno.

La comunità  gay non è sola, le minoranze etniche non sono sole, le vittime di abusi non sono sole, finchè avrò fiato in gola pronuncerò le mie parole.

Ti lascio con l’unica cosa in cui credo ancora ciecamente, due righe lasciateci da menti illuminate, non certo da chi comanda ora.

Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità  e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.

Grazie per questa possibilità . A presto.

Grazie a te, G.

Scelte e cambiamenti

Credo di essere arrivato al punto di non ritorno.

Sono giorni che continuo a pensarci e per quanto forse illogico e irrazionale sto seriamente pensando di dare luogo ad un grosso cambiamento.

È che lì in ufficio ogni giorno è sempre più pesane. Routine, sempre le stesse cose, mai nulla di nuovo lavorativamente parlando. Sempre quelle 72 pagine da impaginare, sempre uguali, poi controlla le pubblicità  e poi spedisci e poi fai i controlli. Nulla di nuovo da imparare, nessuna nuova esperienza da fare, nessuna nuova sfida da affrontare.

Solo tanta bile da gestire e dal punto di vista umano, beh, forse ho già  speso troppe (brutte parole).

Poi sta riiniziando l’uni. E da una parta mi sta venendo un po’ meno la voglia (o forse la forza di) impazzire come l’anno scorso nelle consegne, né voglio finire a saltare esami o rovinarmi la media. Sono un maledetto perfettino in queste cose, per quanto mi sia sempre ripetuto che massì, mi accontento anche di un 18, l’importante è laurearsi.

Invece no. Mi sono accorto che il bello del mio corso di laurea è stare con gli altri, lavorare insieme, studiare ed approfondire, tutte cose precluse dalle mie 32 ore in office.

Già  si preannuncia un corso che non potrò mai seguire (sarebbe sociologia con approfondimenti sulla comunicazione e sui media e mi attira molto!), oltre ai due laboratori che prevederanno lavori di gruppo.

E così, se da una parte non ho praticamente motivi o incentivi per rimanere (se non economici), dall’altra ho un po’ di motivi per andarmene, non ultimo un po’ di ritrovata serenità , che soprattutto in questi ultimi giorni mi manca. E se ne sono accorti chi mi sta vicino e quel paio di colleghi lì dentro a cui tengo.

Eppur con la serenità  non si va da nessuna parte, né si campa.

Ed è sul campare che la mia razionalità  per un momento riaffora. Ci sarebbe un piccolo progetto estemporaneo, uno a medio/lungo termine su cui punto tantissimo e uno quasi immediato, dalla buona rendita, ma dalla durata/sostenibilità  ignota.

Boh.

Devo pensarci.

E parlarne con qualcuno…

Tasse e crediti

Ok, sto male.

Anzi no, sono pure arrabbiato nero.

L’anno scorso non sono riuscito a dare un esame, di cui non ho potuto frequentare le lezioni causa lavoro e di cui ho scoperto solo alla fine che – per quanto le lezioni non fossero a frequenza obbligatoria – era obbligatorio presentarsi ai parziali per poter accedere all’appello estivo. Parziali che – ovviamente – non erano considerati come esami e quindi non rilasciavano la “giustifica” da presentare in ufficio (ed evitare che venisse calcolato come giorno di ferie).

Comunque… fatto sta che per il prossimo anno ho esami per un totale di 65 crediti. Aggiunti (obbligatoriamente) i 10 crediti dell’esame lasciato indietro lo scorso anno, arrivo a 75 crediti, che casualmente supera lo scaglione dei 73 crediti, da cui parte la maggiorazione del 30% della retta.

Calcolando che pago qualcosa più di 3500€/anno, fanno 1050 e più € aggiuntivi.

Per due dico due crediti di sforo.

[E il fastidio aumenta considerando che con la media che ho avrei potuto accedere alla riduzione del 50% della retta se fossi riuscito a dare e superare con un > 27 quell’eseme].

In compenso, essendo uno studente lavoratore, ho diritto ad una riduzione del 25% delle tasse, fino però alla 5ª fascia (su 10) di reddito. Ovvero al 25% di  1500€., cioè ben 375€.

E la cosa è semplicemente ridicola. Sei uno studente lavoratore, ti sbatti per portare avanti tutto, ma se lasci indietro anche solo un esame la tua fatica – dal punto di vista meramente economico – non è affatto ripagata, visto che al meglio ci sarà  sempre un 5% di maggiorazione. Ridicoli.

[I am beautiful] Sinceramente e di cuore, Lore

Ci siamo conosciuti quest’anno in quel del Poli.

E ammetto che non ricordo neanche come abbiamo iniziato a parlare, ma è successo.

Poi facebook, le note, i tag, le chiaccherate durante le pause, le idee folli alle 2 di notte e le chattate.

Con te, con tutti voi del Poli ho sempre deciso di essere me stesso. Senza sbandierare, perché non devo fare le baraccate. Ma semplicemente non negare, parlarne al momento giusto e non in quello inopportuno. Perché era giusto conoscerci a vicenda.

Poi, con te, non ricordo neanche come siamo finiti sull’argomento. Eppure parlandone, con naturalezza, è uscito. Forse una mia battuta sottile, forse una mia risposta ad una tua domanda, forse altro boh, non so, non ricordo, ma alla fine non è neanche così importante. Fatto sta che il discorso è andato avanti tranquillo, senza che tu abbia fatto una piega.

E devo ammettere che è stata un po’ una prima volta. Naturale, senza problemi, senza conseguenze. Non ricordo più cos’era successo, ma ricordo che abbiamo parlato della situazione italiana, come nessuno faccia nulla, come la situazione dei diritti uguali per tutti ma non per alcuni non sia molto corretta. Fino ad arrivare al più recente like per la fiaccolata e alla tua voglia di esserci, ma non potevi per altri impegni.

Poi oggi, dopo settimane, scopro questa tua nota.

Una tua nota, prima di partire per un viaggio vagabondaggio per l’Europa. L’idea accennata e con troppi “se”. Quel trovarsi da qualche parte in Europa a chilometri da Bovisa, se avessi avuto le ferie e se avessi trovato qualche last di fortuna. Ovviamente portandomi dietro il Byb, che hai già  visto/intravisto un sacco di volte, ma in effetti non sono stato così esplicito su chi lui sia per me, anche se forse non serve neanche vista l’evidenza dei fatti.

Ecco, in quella tua nota, prima di partire, dedichi una canzone a quelli a te più cari di questo anno di Bovisa.

E a me dedichi quella bellissima canzone della Cristina Aguilera, Beautiful. Una canzone che adoro. Che ascolto quando sono triste, che ascolto quando voglio un po’ di carica. Un testo che so a memoria, pure non riuscendo a far diventare completamente mio quel I am beautiful no matter what they say / words can’t bring me down / I am beautiful in every single way / Yes, words can’t bring me down, oh no / So don’t you bring me down today.

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E tu cosa mi combini? Me la dedichi, e mi scrivi pure un

A te Lorenzuccio mio un pò di autostima che ti fa bene. Canzone importante, parole forti. Vorrei fare di più per convincerti di quanto vali, e di quanto la fragilità  che vedo in te andrebbe spazzata via, per ora una canzone, una sola, tutta per te. Negli anni farò il resto.

Non sai le emozioni che mi hai provocato. Per la canzone, che, cavolo, l’hai beccata in pieno! Per il Lorenzuccio, per il tirare in ballo la mia scarsa autostima. E quel negli anni farai il resto, che suona come una promessa, ma anche un monito. Come fosse un guarda che non ti lascio in pace finché non migliori.

E in un colpo solo hai individuo e colpito quello che reputo fondamentale in una relazione di amicizia. In una amicizia sono necessarie le parole al vento, quelle leggere e frivole, i dialoghi più seri, la condivisione, il confronto di interessi e attidudini, le esperienze, lo studio e il lavoro. Ma in una amicizia è necessario l’aiuto, il consiglio. Sì, per Photoshop, per il php, per la consegna, per l’idea. E in una Amicizia è quel do ut des senza l’ut des, quello senza la condizione. Quell’aiuto a migliorare sé e l’altro in quanto persone.

E per questo e anche se non so e non ricordo se hai l’indirizzo di questo blog, anche se non so se le leggerai (ma chissà … magari ti manderò io il link. Oggi, domani o tra un po’…), io, Giò, ti ringrazio.

Sinceramente e di cuore,

Lore.