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Blackout

Non auguro a nessuno un blackout di due ore in ufficio.

Proprio quando c’era da fare il grosso del lavoro.

Tutto il quartiere senza corrente, ma noi, che siamo fortunati, eravamo nell’ultima via del blackout. Anzi, noi, dalla parte dei numeri dispari eravamo senza corrente, quelli dall’altra parte della strada ovviamente non avevano problemi.

Tutto saltato: internet, telefoni, computer, server e ogni servizio collegato: l’ftp, l’archivio dati, il sistema di invio delle notizie, il database dei palinsesti, i server email.

E quindi a chiamare (dal cellulare) clienti, fornitori, pubblicitari, tipografie e redazioni per avvisare che – ecco – avevamo qualche piccolo problemuccio.

Poi, dopo un’ora e mezza morire dal caldo (aria condizionata off, ovviamente), ritorna la corrente. Accendiamo, i server iniziano la procedura di riavvio. La rete locale riparte, dopo un po’ internet, i telefoni tornano a squillare, l’ftp. Faccio per scaricare alcuni dati in locale (visto che i file server erano ancora in off), per recuperare un po’ del tempo perso e bum. Via di nuovo la corrente.

Torna, dopo un po’. Ma salta di nuovo, dopo 10-15 minuti.

E poi torna. E questa volta è la volta buona. Però abbiamo avuto un sacco di problemi. Uno dei computer su cui giravano alcuni programmi fondamentali per il caricamenti di alcuni dati in pagina si era bruciato ed era inutilizzabile. Il sistema di invio delle notizie funzionava solo in locale ma i collaboratori esterni non riuscivano ad accedervi. I file server si sono riavviati solo nel giro di mezz’ora e i server mail, probabilmente, hanno perso molti messaggi, mai recapitati.

È stato bello vedere il gruppo di sistemisti/informatici litigare su quale fosse la soluzione ottimale per far ripartire il pc bruciato. E meno male che i sistemisti/informatici erano in ufficio per una riunione/corso d’aggiornamento/quello che era, sennò avremmo avuto un sacco di problemi a far ripartire tutto il sistema (operazione che, anche se non al 100%, ha impiegato più di mezz’ora di tempo!).

Di corsa, al lavoro, per fare tutto. Ansia, ansia e ancora ansia, nel dover fare tutto di corsa, con mezzi di fortuna, usando le mail anziché il solito comodissimo sistema web.

Un po’ di straordinari, ma poi, l’amara sorpresa: è saltato anche il server che controlla il sistema di gestione degli accessi. Tradotto: i bagde per l’ingresso in ufficio sono fuori uso.

Speriamo che il nostro tecnologo che ho lasciato da solo in ufficio riesca a sistemare la cosa. E, nel caso, speriamo che il primo che domani dovrà entrare in ufficio abbia le chiavi…

La faticosa giornata

Che poi, altro che passare le carte ai cassieri perché loro facciano la fatica di strisciarle è molto, ma molto, stancante (cit)!

La parte stancante della giornata è stato, ovviamente, in ufficio.

Con una favolosa collega che di nascosto, arrivando in anticipo, prima di tutti (mentre di solito ritarda) è corsa dal capo a lamentarsi, di tutto e di tutti, spalando ***** ovunque.

È stata sgamata dall’altro collega, che ha chiesto spiegazioni.

Poi una riunione.

Poi un’altra.

E visto che lei non fa il mio lavoro, si è pure permessa di giudicare il mio operato, dicendo che sono distratto, lavoro male, faccio errori.

Cose che ovviamente ha avuto il coraggio di dire solamente davanti al capo, il quale ha riportato poi al collega chiedendo spiegazioni. Ma lei, quando poi c’è stata la riunione di gruppo, ovviamente non ha avuto il coraggio di ripetere quello che aveva detto in sede privata.

Inutile dire che io stavo malissimo.

Come si permette una bitch del genere, di giudicare il mio operato (che non è né mia collega, né mia superiore) e prendere, dal nulla e andare a riferire al capo cose non vere basate su una sua infondata impressione?

Comunque, io stavo male, malissimo. Il cuore che mi batteva a mille, un senso di affanno e la fatica a respirare, la bocca serrata che non riuscivo ad aprire per parlare. Solo la testa, che mi accorgevo che si muoveva in un continuo no no no mentre pensavo alle peggior cose di questa orribile viscida perfida persona.

E di fronte al mio silenzio davanti alle sue accuse riferite da altri, dopo un po’ lei è sbottata in un urlo isterico “Ma perché non mi consideri, che cosa ti ho fatto!?”.

E la vuoi pure la risposta? Sei una persona orribile, con cui non voglio avere nulla a che fare. Però sono pure obbligato a lavorare con te, quindi parliamo pure di lavoro (cosa che si fa), ma non pretendere che ti venga a raccontare qualcosa della mia vita.

Comunque, alla fine di tutto, riunione sciolta, ma il capo mi ha trattenuto, per parlare a tu per tu.

Tragedia, ansia, ancora peggio di prima.

Sono scoppiato a piangere, dalla tensione, dal nervoso. E non riuscivo neanche a parlare, mi sentivo le labbra chiudersi, non muoversi correttamente per articolare i suoni. Una tragedia.

Ma alla fine, poco alla volta, mi sono sbloccato.

E ho tirato fuori tutto quello che mi veniva in mente che avevo covato dentro per tutti questi mesi.

Ora c’è solo da sperare che prenda le giuste decisioni.

Incubi

Post a pubblicazione ritardata, per evitare di impensierire qualcuno che ha già altro a cui pensare

Ho degli incubi.

E avviene tutti i giorni, verso le 14-14.30, quando devo prepararmi e infilarmi in macchina per andare a lavoro.

Il mio incubo è quell’ufficio.

E non ce la faccio veramente più. L’incompetenza che mi circonda, l’ignoranza, il menefreghismo, la falsità, la maleducazione.

La summa di tutto quello che non sopporto è lì, in quell’open space che faccio sempre più fatica a sopportare, fino ad arrivare all’odio e alla fortissima riluttanza a doverci andare (fortunatamente solo) quattro giorni a settimana.

E nel frattempo si avvicina agosto e il casino delle ferie o nonferie e il concretizzarsi dell’asì,peròc’èdafareanchequestoequelloequell’altroeanchesenonc’èchilopuòfare,beh,c***idellosfigatocherimaneinufficioalavorare.

Ogni giorno, un nuovo estenuante episodio della tragic-opera. Ma cose dell’altro mondo, problemi che non dovrebbero neanche sussistere e invece ci sono e fanno danni a destra e a sinistra.

Inutile poi ribadire quanto già detto più volte. Nella condizione attuale, trovare altro di meglio è altamente improbabile.