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Voglia

Ecco, ogni tanto ritornano.

Ritorna la voglia di prendere quelle 4 cose che ho e andarmene, andarmene da qui e non tornare più.

Voglia, insomma, non so. Forse è quasi una necessità. Perché qui io non ce la faccio.

Però dovrei essere più impulsivo, avere veramente il coraggio di farlo.

E invece mi blocco. Mi blocco davanti al come farò a vivere, dove andrò, che ne sarà dell’uni.

E invece mi blocco. E così perdo tempo. Perdo tempo al pensare a come dovrebbe essere, perdo tempo nel non fare quello che dovrei fare e mi riduco, così, all’ultimo.

E mi si chiude lo stomaco, come sempre. E non riesco a mangiare, mi viene il vomito a sentire solo l’odore di cibo. Non voglio mangiare. Non voglio mangiare qualcosa che viene da loro, non voglio avere più nulla a che fare.

Sono stufo, stufo, stufo, stanco.

Dicono che le cose sono cambiate, che io sono matto e mi fisso, mi fossilizzo sulle cose, sulle virgole, sui punti e virgola.

Ma io ho chiesto e preteso solo una grande, importante cosa.

Che si rimangiassero quello che mi hanno detto.

Che si rimangiassero quello che mi hanno detto quella sera, su quella scala, quando volevo uscire.

Che si rimangiassero quella cosa che mi hanno detto e che mi ha – letteralmente – ucciso.

Che si rimangiassero quella cosa che mi hanno detto e che li ha – letteralmente – ucciso ai miei occhi.

Dopo quello, loro per me non sono più nulla.

E possono avere torto o ragione. Può per loro essere facile o difficile.

Possono leggere questo o può esserci qualcuno che sta leggendo e poi spiffera tutto (beh, nel frattempo voglio proprio ringraziare questa persona: sì, si è dimostrato/a un/a grande amico/a nei miei confronti).

Io non sarò perfetto, ho fatto i miei errori, non sono come loro mi vogliono.

Ma una cosa così, signori, cambia tutto.

E non riesco a capire se non hanno ancora capito, se vogliono fare finta di nulla o se, semplicemente, se ne fregano di quello che dico.

Perché tanto vale molto di più un saluto non dato, le ciabatte non indossate, i pantaloni tenuti un giorno in più, i discorsi sbagliati fatti mentre dormo.

In fondo, è solo una questione di valori e punti di vista, no?

E nessuno può dire se sono giusti o sbagliati, no?

Quindi, i miei sono sbagliati, i vostri no. Giusto?

Ieri.

È stata una giornata semplicemente tremenda.
A partire dal risveglio, accompagnato da fastidiose urla, il viaggio in treno, l’esame di disegno, la mano che doleva a furia di tracciare linee, scrivere e cancellare, il non pranzo, la lezione di movie design (inutile!) e l’infinito viaggio di ritorno a casa, tra treni impazziti, pieni come carri di bestiame, ritardi, pioggia e troppe – troppe – cose in mano.
E l’unica che poi volevo era un po’ di tranquillità e un po’ di riposo.
Ma una delle due, ovviamente, non c’è stata.

Neve

Io mi ricordo, di una volta, di quando veniva mio padre a svegliarmi e sussurrarmi che c’era la neve. E allora prendevo, mi alzavo, anche se faceva freddo, in pigiama e correvo alla finestra a vedere tutto il mondo, che a quel tempo sembrava infinito, ricoperto da una coperta bianca, correvo alla finestra a vedere i fiocchi che cadevano, uscivo di casa per tentare di acchiappare quei fiocchi, per farli miei, per sempre, ma immancabilmente si scioglievano istantaneamente al contatto con la mia calda mano.

E ora, invece, nulla. Nevica. Vedrò di partire un po’ prima, per evitare casini. Bisogna andare un più piano e stare più attenti in strada. Magari i treni ritardano. Devo cambiare scarpe, per evitare di bagnarmi quelle belle.

Però, oltre a questo, niente, nessun effetto, nessuna meraviglia, nessun incanto.

Solo noia e scocciatura.

Lost

Non c’è dubbio.

È la mia specialità.

Quella di prendere, perdere e fermarmi.

Immobilizzato, come se nel momento in cui il cervello si accende, tutto il resto non ha più energia per fare nulla.

E così, partono i pensieri.

Su oggi, ieri e domani. Sulle cose da dire e da fare. Sui sogni da realizzare e quelli infranti. Sugli errori, sulle speranze. Sugli amici, sui colleghi, l’ufficio e l’uni. Sul tg e sui giornali, su di me, me e me. Di quanto sono bello e brutto, stupido e intelligente. Di come potevo gestire meglio quella situazione o di come invece sono stato bravo a gestirla. Sulle frasi dette e pensate. Sugli amici di oggi e quelli di ieri. Sugli amici vicini e quelli lontani. Soprattutto quelli lontani, che non vedo, non sento, mi mancano. Ma mi manca anche chi è molto più vicino.  Pensieri su come organizzare la giornata successiva, quando fare le varie consegne, sul freddo e su quanto è bello l’inverno. Penso a frasi, lette, sentite, che rimangono intrappolate e vengono lette, sentite, di nuovo, all’infinito. Per sviscerarne il significato più recondito, per imprimerle indissolumilmente o semplicemente per farle andare via, ma rimangono invece blocccate.

E tutto non ha senso. Perché è la solita inutile accozzaglia di pensieri che si scontrano. Senza un perché. Perché è inutile pensare a quel che non c’è più o a ciò che non si può ottenere. Perché è inutile perdere tempo a rimuginare su cose non dette, non fatte o ormai dette e fatte male, sbagliando. Perchè non ha senso organizzare il futuro se poi non si riesce a tener fede neanche al più semplice todo appuntato su un post-it volante.

Eppure succede. E quando succede, va avanti all’infinito. Percéè sono troppo sensibile all’esterno. Tutto viene immagazzinato e rielaborato. E perdo tempo, imbambolato. Oppure non dormo, fissando il soffitto, mentre mi accorco, con orrore, dei pensieri che corrono.

E non ha senso, ora. Perché fa freddo, è tardi, è tempo di andare sotto le coperte.

Però non ne ho voglia. Oppure ho paura. Paura di quel che succede prima del sonno, paura di chiudere un giorno in cui poco é stato fatto, paura di avviarsi verso il domani.

Remember?

Immobile, davanti alla stufetta che sputava aria calda, per tanto, troppo tempo.

E la testa affollata di pensieri, sensazioni che correvano veloci, da una parte all’altra, cozzavano e facevano male.

Tu, dietro una porta, che parlavi e dicevi cose, che però non riuscivo a sentire.

Poi la doccia.

Sotto lo scorrere dell’acqua, cadevano goccie di un pianto sommesso.

Poi le fotocopie e i documenti, che hai dimenticato a casa.

Poi il pranzo, forzato, con lo stomaco ormai chiuso e i bocconi mandati giù a fatica.

Le tue parole che mi hanno ferito, le mie parole che ti hanno ferito.

Ma purtroppo, per me, tutto si riduce ad un’unico momento di giorni e giorni fa.

Tutto si riduce ad una doppia frase, magari detta nella foga della lite.

Però mi rivedo, lì, a metà della scala, quella sera o tardo pomeriggio, che mi sento dire

Non ti accetto per quello che sei e non ti accetterò mai.

Mi hai lacerato il cuore, hai annichilito le mie speranze.

E mi spiace. Perché quella frase ha cambiato tutto.

E mi sembra di averlo già detto, averlo già fatto presente.

Eppure nulla, nulla è cambiato. Non un non è vero, non l’ho detto. Non un era colpa della rabbia. Non un non è più così, ora è diverso. Non un we’re workin’ on it.

Finché quella frase rimarrà valida, non chiedermi qualcosa di più.

Perché è il massimo che posso darti.

Perché è il massimo che voglio darti.

Ah, già, ho un blog

Devo dire che gli ultimi sono stati dei giorni un po’ frenetici.

Eppure… eccomi qua. Ancora in piedi. E come al solito ho l’impressione che l’unico a non credere che ce l’avrei fatta ero io.

Tavole consegnate, esercitazioni fatte e finite, prima sessione di compitini superata.

Ora una settimana di pausa dalle lezioni. Giusto il tempo per tentare di dormire un po’ e finire alcune tavole che avevo lasciato indietro e altre da rifare.

E nel frattempo mi rendo conto che non dedico più tempo a quel marasma di pettegolezzi 2.0. Bene o male mi sto perdendo twittate, post, mail. Non sono aggiornato quasi su nulla, sul reader si ammassano i feed.

Ma a parte l’ansia quando lo avvio nel vedere un 1000+ in alto a sinistra, penso che il “Mark all as read” a volte serve. Alla fine è solo uno strumento. Non il fine.

Alla fine, al momento, ho cose ben più importanti.

E sebbene senta a volta la mancanza dell’online, sto comunque bene. Perchè sono veramente contento di quello che faccio. Faticoso, stancante e spesso demoralizzante, ma è grande la soddisfazione al momento di salvare il file o rimettere la matita nell’astuccio.

Per il resto,

stay tuned.

Io sto vivendo.

E tu?

Fate come se

Rieccomi.

Esame dato. E tutto sommato era decisamente meno peggio del previsto. Ora, non dico che prenderò un 30 (anzi, lo escludo proprio), però ci sono riuscito. Ho fatto la ricerca, sono riuscito a sostenere l’esame, per quanto lungo e pesante.

E ricordate il post di ieri?

Bene.

Dall’alto del mio lunaticismo, dimenticatelo.

Perchè ora, superato in qualche modo l’ostacolo, sono di nuovo come al solito.

Certo, ci sono sempre le tavole e le consegne, ma ora che il fardello se n’è andato sembra tutto più facile (fino al prossimo accumulo di consegne, ovviamente).

Ma, bene o male, è un pensiero comune. Su Facebook, il gruppo del primo anno ha organizzato per domani sera un’uscita. E oggi qualcuno si è portato i rifornimenti da casa (vino e limoncello) per festeggiare alla fine dell’esame.

Cose pazzesche, mai viste nella mia precedente (e tristissima) carriera universitaria.

Eppure nulla mi toglie l’impressione, anzi, la certezza, che questa è una vita completamente diversa.

Uoooh oh oh ohhhh

Qualcosa non va

Eppure c’è qualcosa che non va.

Perchè sto facendo veramente fatica a studiare. Nonostante la materia sia interessante e mi è sempre piaciuta, anche se ho avuto pessimi insegnanti che non mi hanno aiutato a comprendere a fondo certi passaggi e me l’hanno fatta odiare.

Ho un bellissimo libro, in carta patinata, tutto a figure. Ho gli appunti degli altri, visto che non sono riuscito a frequentarlo per motivi di lavoro, ho le slide che ha usato il professore a lezione.

Eppure non ci riesco.

Non riesco a capire come studiare, cosa studiare, perchè.

E la voglia va e viene. E quando se ne va, inizio a pensare a tutte le cose da fare. La lezione di oggi saltata, un lavoro che non sono riuscito a realizzare e di cui non ho ancora idee, le tavole delle sedie di Rietveld e quella del layout da consegnare per venerdì, il pantone da comprare assolutamente domani dopo l’esame e sono un mercoledì e un giovedì mattina liberi per fare tutto questo.

E non mi aiuta l’idea di aver comunque perso una lezione (obbligatoria) di laboratorio per combinare cosa? Un’ora in più di sonno? Una mattinata persa alla ricerca dell’Idea non pervenuta? Qualche ora in più di studio per l’esame di domani, che tanto andrà come andrà?

Mi è sempre mancata quell’istintività che per un momento spegne la ragione ed agisce. In queste nottate mi avrebbe fatto decisamente comodo. Almeno sarei riuscito a produrre un risultato, buono o scarso, ma almeno era qualcosa. Qualcosa da cui poter partire, da migliorare, da far valutare e commentare, per poter ricevere indicazioni e consigli.

E invece no. Fermo nel mio solito immobilismo, fermo nel mio meglio non tentare neanche di fare qualcosa piuttosto che farlo male o sbagliato.

E comunque, non so. Poco a poco le mie illusioni di potercela fare stanno svanendo, fagocitate da questo turbine di corse avanti e indietro per Milano, lezioni, pomeriggi e nottate di lavoro.

E siamo solo a metà novembre.

Poi inizio a pensare, rimuginare, immaginare il passato che non fu. Che dovevo essere più coraggioso qualche anno fa. Era quello in tempo giusto in cui fare quella scelta. Ora invece sono ingabbiato in un limbo da cui non mi sembra di poter riuscire ad uscire.

Sì, c’è qualcosa che non va.

Sto iniziando ad arrendermi.