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È che a volte non mi capisco, né mi piaccio. Per nulla. Per come mi comporto, per come agisco, per come mi sento poi e per quell’inutile senso di orgoglio che in realtà non mi porta da nessuna parte.

È che mi arrabbio, per cose che prima mi facevano ridere o sorridere. Però dette una, due, tre, quattro, cinque volte, dopo un po’ non mi divertono più. Per nulla. Mi innervosiscono. Perché per quanto voglia apparire come il bambinetto giocoso viziato stupido e rompiscatole, in realtà non lo sono. O se lo sono veramente, non voglio essere così. Per nulla.

E non so perché, ma mi infastidisce l’uso di questa mia autoironia da parte di altri. E l’indice secondo cui l’uso diventa abuso, quindi insopportabile, è troppo, troppo ristretto.

Poi non sopporto per nulla i ritardi. Ma proprio zero. Il che è abbastanza ipocrita, visto che io molto spesso ritardo. E qui, ovviamente, nel ragionamento parte l’autogiustificazione. In virtù del fatto che spesso, ci sono impedimenti esterni quando sto tentando di uscire di casa o che, bene o male, in caso di eventi importanti (lavoro?), appuntamenti combinati particolarmente complessi o particolarmente lontanti, tento sempre di ridurre ad un margine tollerabile il ritardo.

E poi boh.

Che forse sia il Natale che si avvicina e l’ipocrisia di fondo che aumenta e diventa sempre più preponderante che mi infastidiscono e mi rendono così intollerante alle sciocchezze?

Mi sa che è meglio dormirci sopra

Voglia

Ecco, ogni tanto ritornano.

Ritorna la voglia di prendere quelle 4 cose che ho e andarmene, andarmene da qui e non tornare più.

Voglia, insomma, non so. Forse è quasi una necessità. Perché qui io non ce la faccio.

Però dovrei essere più impulsivo, avere veramente il coraggio di farlo.

E invece mi blocco. Mi blocco davanti al come farò a vivere, dove andrò, che ne sarà dell’uni.

E invece mi blocco. E così perdo tempo. Perdo tempo al pensare a come dovrebbe essere, perdo tempo nel non fare quello che dovrei fare e mi riduco, così, all’ultimo.

E mi si chiude lo stomaco, come sempre. E non riesco a mangiare, mi viene il vomito a sentire solo l’odore di cibo. Non voglio mangiare. Non voglio mangiare qualcosa che viene da loro, non voglio avere più nulla a che fare.

Sono stufo, stufo, stufo, stanco.

Dicono che le cose sono cambiate, che io sono matto e mi fisso, mi fossilizzo sulle cose, sulle virgole, sui punti e virgola.

Ma io ho chiesto e preteso solo una grande, importante cosa.

Che si rimangiassero quello che mi hanno detto.

Che si rimangiassero quello che mi hanno detto quella sera, su quella scala, quando volevo uscire.

Che si rimangiassero quella cosa che mi hanno detto e che mi ha – letteralmente – ucciso.

Che si rimangiassero quella cosa che mi hanno detto e che li ha – letteralmente – ucciso ai miei occhi.

Dopo quello, loro per me non sono più nulla.

E possono avere torto o ragione. Può per loro essere facile o difficile.

Possono leggere questo o può esserci qualcuno che sta leggendo e poi spiffera tutto (beh, nel frattempo voglio proprio ringraziare questa persona: sì, si è dimostrato/a un/a grande amico/a nei miei confronti).

Io non sarò perfetto, ho fatto i miei errori, non sono come loro mi vogliono.

Ma una cosa così, signori, cambia tutto.

E non riesco a capire se non hanno ancora capito, se vogliono fare finta di nulla o se, semplicemente, se ne fregano di quello che dico.

Perché tanto vale molto di più un saluto non dato, le ciabatte non indossate, i pantaloni tenuti un giorno in più, i discorsi sbagliati fatti mentre dormo.

In fondo, è solo una questione di valori e punti di vista, no?

E nessuno può dire se sono giusti o sbagliati, no?

Quindi, i miei sono sbagliati, i vostri no. Giusto?

Remember?

Immobile, davanti alla stufetta che sputava aria calda, per tanto, troppo tempo.

E la testa affollata di pensieri, sensazioni che correvano veloci, da una parte all’altra, cozzavano e facevano male.

Tu, dietro una porta, che parlavi e dicevi cose, che però non riuscivo a sentire.

Poi la doccia.

Sotto lo scorrere dell’acqua, cadevano goccie di un pianto sommesso.

Poi le fotocopie e i documenti, che hai dimenticato a casa.

Poi il pranzo, forzato, con lo stomaco ormai chiuso e i bocconi mandati giù a fatica.

Le tue parole che mi hanno ferito, le mie parole che ti hanno ferito.

Ma purtroppo, per me, tutto si riduce ad un’unico momento di giorni e giorni fa.

Tutto si riduce ad una doppia frase, magari detta nella foga della lite.

Però mi rivedo, lì, a metà della scala, quella sera o tardo pomeriggio, che mi sento dire

Non ti accetto per quello che sei e non ti accetterò mai.

Mi hai lacerato il cuore, hai annichilito le mie speranze.

E mi spiace. Perché quella frase ha cambiato tutto.

E mi sembra di averlo già detto, averlo già fatto presente.

Eppure nulla, nulla è cambiato. Non un non è vero, non l’ho detto. Non un era colpa della rabbia. Non un non è più così, ora è diverso. Non un we’re workin’ on it.

Finché quella frase rimarrà valida, non chiedermi qualcosa di più.

Perché è il massimo che posso darti.

Perché è il massimo che voglio darti.

Qualcosa non va

Eppure c’è qualcosa che non va.

Perchè sto facendo veramente fatica a studiare. Nonostante la materia sia interessante e mi è sempre piaciuta, anche se ho avuto pessimi insegnanti che non mi hanno aiutato a comprendere a fondo certi passaggi e me l’hanno fatta odiare.

Ho un bellissimo libro, in carta patinata, tutto a figure. Ho gli appunti degli altri, visto che non sono riuscito a frequentarlo per motivi di lavoro, ho le slide che ha usato il professore a lezione.

Eppure non ci riesco.

Non riesco a capire come studiare, cosa studiare, perchè.

E la voglia va e viene. E quando se ne va, inizio a pensare a tutte le cose da fare. La lezione di oggi saltata, un lavoro che non sono riuscito a realizzare e di cui non ho ancora idee, le tavole delle sedie di Rietveld e quella del layout da consegnare per venerdì, il pantone da comprare assolutamente domani dopo l’esame e sono un mercoledì e un giovedì mattina liberi per fare tutto questo.

E non mi aiuta l’idea di aver comunque perso una lezione (obbligatoria) di laboratorio per combinare cosa? Un’ora in più di sonno? Una mattinata persa alla ricerca dell’Idea non pervenuta? Qualche ora in più di studio per l’esame di domani, che tanto andrà come andrà?

Mi è sempre mancata quell’istintività che per un momento spegne la ragione ed agisce. In queste nottate mi avrebbe fatto decisamente comodo. Almeno sarei riuscito a produrre un risultato, buono o scarso, ma almeno era qualcosa. Qualcosa da cui poter partire, da migliorare, da far valutare e commentare, per poter ricevere indicazioni e consigli.

E invece no. Fermo nel mio solito immobilismo, fermo nel mio meglio non tentare neanche di fare qualcosa piuttosto che farlo male o sbagliato.

E comunque, non so. Poco a poco le mie illusioni di potercela fare stanno svanendo, fagocitate da questo turbine di corse avanti e indietro per Milano, lezioni, pomeriggi e nottate di lavoro.

E siamo solo a metà novembre.

Poi inizio a pensare, rimuginare, immaginare il passato che non fu. Che dovevo essere più coraggioso qualche anno fa. Era quello in tempo giusto in cui fare quella scelta. Ora invece sono ingabbiato in un limbo da cui non mi sembra di poter riuscire ad uscire.

Sì, c’è qualcosa che non va.

Sto iniziando ad arrendermi.

Shangri-La

Mi sento strano.

Son due settimane che bene o male corro da una parte e dall’altra senza un attimo di riposo.

Mi manca poter dormire.

Mi manca poter uscire normalmente la sera.

Mi manca guardare un po’ di tivvù, giocare col Wii o il DS.

Mi mancano i telefilm e le serate al cinema.

Vorrei poter ritornare a vivere alla giornata senza pensare al futuro.

Vorrei sentirmi di nuovo la testa leggera e non assistere impotente a quello scontro perenne di pensieri impazziti.

Ma in fondo, vorrei avere ancora qualche illusione a cui aggrapparmi.

Week-end

E così anche questa settimana è volta al termine.

Una settimana divisa tra gli alti delle giornate universitarie e i bassi dei (piccoli) casini a lavoro.

Una settimana che si è conclusa decisamente bene: non solo per la lezione di disegno di oggi, che mi è piaciuta veramente tanto, quanto perchè, finalmente, ho rivisto due carissimi amici, dopo un sacco di tempo.

Una serata tranquilla, casalinga. Però è bello rivedere le loro amichevoli faccie dopo un po’, considerando che l’ultima volta che li avevo visti era il giorno della bufera, ad agosto.

Però, oggi, ho anche riflettuto e rimuginato.

Mi pesa il non potersi vedere sempre, mi pesano le molte rinunce che devo e dovrò fare. Mi pesa ancora la situazione e non sono per nulla soddisfatti di certi aspetti del mio carattere, a volte così scostante.

Però domani è un altro giorno. Ho un paio di “compiti a casa” da fare e mi aspetta una cena veramente importante, pur con l’ostacolo delle probabilissime litigate per andarci.

Ma è troppo importante. Per me, per lui, per il suo clan. E devo assolutamente andarci. Costi quel che costi.

Eppure

Boh.

Oggi è una giornata un po’ così.

Dopo la giornata di ieri, caratterizzata da un laboratorio di disegno decisamente frustrante per le mie (scarse) capacità. Un laboratorio che alla fine mi ha fatto sballare un po’ di buoni propositi: mi ha fatto saltare il pranzo e mi ha fatto correre diretto verso il treno una volta finito, senza passare dalla biblioteca.

Eppure il giretto in biblioteca mi serviva. Dovevo cercare un po’ di cose, documentarmi. E invece l’ho saltato. Perchè non stavo bene, in tutti i sensi. E volevo solo andare a casa.

Così, oltre al raffreddore, si è aggiunta la febbre. Ovvio. Dopo le levatacce in una casa abbastanza fredda, la temperatura della macchina, il clima tropicale del treno, quello subtropicale della metro.

Sbalzi.

Sbalzi di temperatura, sbalzi di umore.

Sommerso da troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle. E alla fine mi blocco, pensando al tutto e non riuscendo a fare neanche una parte.

Le tre consegne per i tre laboratori, di cui due per lunedì, quindi da finire entro questa sera perchè poi domani lavoro e l’altra da fare, in fretta e furia e senza ritardi mercoledì e giovedì mattina.

Il giro in segreteria per capire la faccenda “vecchi esami”, che quindi cozza notevolmente con la consegna di venerdì.

Recluso.

In senso lato.

Ma alla fine sono tutto casa, ufficio, campus.

Senza possibilità di prendermela comoda, di fare uno sbaglio.

E inizio a pensare a come sarà difficile gestire alcuni progetti che ci hanno anticipato, in gruppo, in giro per la città, con macchina fotografica e telecamera. A quanto sarà inutile, un peso.

E penso a tutte quelle persone a cui tengo. E che non vedo da un sacco. Ed in particolare ad una.

E ho paura. Ho paura per me, ho paura per noi.

E sto male.

Per il raffreddore, per la febbre, perchè forse non sono abbastanza forte per gestire il tutto.

Perchè forse ho sbagliato a scegliere, ho sbagliato, come sempre, a valutarmi.

Anzi, no, a sopravvalutarmi.

Oggi [Ieri]

Oggi, cioè, ieri, è finalmente finito.

Una giornatina niente male a lavoro. Un po’ di situazioni difficili da gestire, comparse tutte all’ultimo momento, ma alla fine, è andato tutto bene, senza troppi inghippi.

E non so perchè lo sto scrivendo. Forse per scrivere qualcosa, forse per passare un po’ di tempo prima che Morfeo passi a trovarmi.

C’è da dire che ultimamente, sto veramente trascurando la parte “social” di me. Poco twitter, reader ormai bloccato sul 1000+.

Questi due giorni di lavoro sono stati molto strani, dopo i 2 giorni di università. Mi sono reso conto di sbirciare tutti i volantini alla ricerca dell’offerta giusta su un Nokia UMTS (ancora mi mangio le mani). Le mie adorate serie TV le ho abbandonate, per mancanza di tempo. Esco veramente poco, tanto che questa sera ho anche rinunciato alla goodbye night di uno degli stagisti che ha deciso di cercare un altro lavoro. Il Wii è spento da un sacco di tempo, il DS pure. Ho giocato per un’oretta a Spore ma non mi è piaciuto molto. Troppo poco riflessivo, troppo d’azione. No, me lo aspettavo diverso. Mi sembra di aver perso qualche contatto. Di non sentire più alcune persone a me care, di essermi un po’ allontanato.

E poi.. boh. Sto scrivendo un sacco di righe senza avere, alla fine, nulla da dire.

Non so come sia possibile, ma a volte, mi sento un po’ vuoto. C’è qualcosa, di fondamentale, che sembra che mi manchi. E non riesco a capire cosa sia.