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Ventiquattro

Sveglia. Presto, per incontrare un’amica per colazione. Forse, però, era un po’ troppo presto.

Colazione che poi si è protratta per un po’ troppo. Fino a diventare un giretto e poi un pranzo, a scrocco. Tutto condito di parole, parole e parole.

Poi il rientro a casa, giusto in tempo per sentire un’altra amica, per restituirle delle cose, per un favore chiesto. Era un sacco di tempo che non ci si sentiva nè vedeva. Un po’ di aggiornamenti reciproci. Parola, parole e parole. E l’ufficializzazione di qualcosa che, in fondo, sapevo che sapeva già. Un po’ di dubbi, sulla mia incapacità di gestione della cosa.

E, ancora, il tempo passa, vola. E così i saluti, il fatti sentire, il leggimi su queste pagine.

E poi sfogliare una rivista con mio padre, opinioni mie diverse dalle sue, una tapparella rotta da sistemare.

E la stanchezza, che mi prende. Sdraiato sul letto, con un fresco venticello che mi accarezza la faccia.

E dormo, dormo, dormo.

Una chiamata. Rispondo, mezzo imbecillito. Ascolto. E rispondo, a monosillabi, ancora addormentato. L’idea era quella di non preoccuparsi se saltava la serata, di andare pure dove volevi. Ma, sicuramente, non ci sono riuscito.

Perchè volevo tornare a sdraiarmi sul letto, dormire ancora un po’, prima che il profumo di pizza della mamma si diffondosse per casa.

Cena, tranquilla, rilassata. E parole, parole, parole.

Ora piove, diluvia, tuoneggia. E parole, parole, parole che scorrono sui tasti.

E il sonno che mi assale di nuovo.

 

 

Soffoco

Non ce la faccio più. Ogni cosa che faccio è sbagliata, qualsiasi cosa chieda, dica, voglia è sempre no, no e no. Si mettono a fare i calcoli dei chilometri che faccio con la macchina, a controllare gli orari e i viaggi fatti col telepass, a leggere la mia posta e afrugare tra i documenti della mia banca. E va a finire che quel che mio non è mio, perchè mi spariscono i soldi dal portafogli o i buoni pasto dal carnet. Le mie cose vengono prese, spostate, spente, rovinate, buttate. E si permettono pure di sindacare sulle mie vacanze, sul fatto che tanto possiamo spendere anche di più, ed è meglio, perchè così è tutto più sicuro, più bello, meno bettola, perchè tanto i soldi, per una vacanza l’anno, li abbiamo. Peccato che, al momento, la mia vacanza l’ho pagata con i miei soldi. E loro non mi hanno dato assolutamente nulla, nè hanno proposto di darmi qualcosa.

Perchè non riescono a capire che ho bisogno dei miei spazi, che mi sento soffocare, che non possono starmi così addosso. Ho bisogno di vivere, fare i miei sbagli, essere libero di vedere i miei amici senza che loro si permettano di sindacare sul chi, quando e come posso vederli.

E io non riesco a gestire questa situazione. Non sopporto questo loro intromettersi nella mia vita. Si, ok, sono i miei genitori e un po’ è permesso. A me sembra che esagerino. Troppo.

E si litiga, si litiga e si litiga.

E io voglio solo andarmene, di qua.

Sette giorni

L’ultima settimana è stato un susseguirsi di giornate lunghe e stancanti..

Venerdì/sabato la trasferta a Bologna, domenica la corsa da Bologna in treno fino a Magenta e poi di nuovo in macchina a Milano a lavoro. Lunedì tutti i casini vari ed eventuali a lavoro, ovviamente accompagnati da un pesantissimo mal di testa. Martedì mattina invece mi sono messo le vesti di un mac-consulente e con un’amica ho girato il legnanese alla ricerca del computer per lei, tranne poi scappare – come al solito – a Milano a lavoro. Mercoledì mattina, di nuovo mac-consulente, poi di nuovo lavoro, poi, la sera, Alice-VoIP-consulente da un’altra amica. Oggi, sveglia all’alba per recuperare Love che mi ha accompagnato a Milano, per il test d’ingresso di Arte&Messaggio. Il casino per arrivare, trovare parcheggio, il riuscire a ritrovarsi, la passeggiata per parco Sempione e gli acquisti in centro, poi la metro e il lavoro. E ora.. ora ho gli occhi pesanti. E voglio andare a letto. Anche se è da domenica che mi è difficile stare bene, in quel letto, da solo.

Bologna ’08

Attraversare le vie di una città a misura d’uomo, circondato da suoni e colori.

Macinare chilometri, forse un paio di troppo, stringendo una mano e sentirla calda, viva, sentirla mia.

Commentare, ridere, correre a fare qualche foto e fermarsi ad aspettare gli altri.

Osservare con occhi curiosi il pacifico fiume che felice, allegro e gioioso scorreva tra il traffico e le case.

Vedere di essere visti dai cittadini, dai curiosi, dagli automobilisti fermi nel traffico, dagli studenti sui balconi, dalle vecchiette nascoste dietro le tende.

Gli occhi umidi durante i discorsi finali.

Un senso estremo di libertà, di poter esser me stesso, senza alcun vincolo.

Avere ancora una volta la conferma di non essere solo, di essere tutti uguali e ognuno diverso.

Ma anche la brutta sensazione di non essere visti da chi doveva vederci, di essere ignorati da chi ci dovrebbe ascoltare, di non essere considerati da chi dovrebbe fare informazione.

Ricordi preziosi

Torno a casa mentre i primi raggi di sole illuminano la volta scura del cielo, disegnando nubi dalle varie forme.
Torno a casa mentre qualche goccia sola e annoiata scivola senza forza sul parabrezza.
E mi rendo conto che è tardissimo.
Ho poco, pochissimo tempo prima che Morfeo mi colga di sorpresa, affievolendo i ricordi di questa bella serata.
Ho poco, pochissimo tempo per fissare nei ricordi questi momenti di tenerezza vissuti con Te.
E, mentre chiudo gli occhi dal sonno, là fuori si risveglia la vita.
Tanti uccellini cantano felici un inno al nuovo giorno appena iniziato.

Fughe di gas

Ancora una volta è scattato l’allarme antigas.
Ancora una volta, ovviamente, si blocca arresto il gas in tutta casa.
Ancora una volta si blocca la caldaia, che deve essere riattivata manualmente.
Ancora una volta fai areare la cucina.
Ancora una volta sopporta quel suo odio sibilo spaccatimpani.

Sì, è vero che prevenire una fuga di gas è meglio che curare, ma qualcuno, forse, dovrebbe spiegare a quella scatoletta anti-fuga-di-gas che quello che ha sentito non è odore di gas.

Quello è solo profumo di pizza fatta in casa appena sfornata.

Nervosismo e mal di testa

Giornata massacrante a lavoro. Un sacco di facce nuove, tra quelli dell’altra redazione, i 3 stagisti e il nuovo giornalista.
Giornata di una lunghissima e inutile riunione, in cui ci è stato detto che dobbiamo preparare l’impostazione grafica per un nuovo mensile di 100 pagine, entro il 10 di giugno. Si, certo, se solo avessimo almeno 5 minuti di tempo, potremmo farlo.
Giornata di tristezza per una collega che se n’è andata. Arrivata a lavoro come tutti i giorni, chiamata a colloquio dal capo con suo solito “scusa hai cinque minuti?” e poi, una volta uscita dalla stanza, ha preso tutte le sue cose e ciao a tutti, me ne vado. Ma tutto questo è successo quando io non ero ancora arrivato, quindi non neanche avuto modo di salutarla.
Giornata di fastidio per il modo tremendo in cui certe cose sono gestite. Per il modo assurdo in cui si viene trattati, per l’idea di essere usato fin quando sei necessario per poi essere buttato via senza troppi complimenti, per le vendette da bambini dell’asilo messe in atto da chi ha il potere.
Giornata di aria gelida che mi arrivava addosso dalle bocchette del climatizzatore, con conseguente congelamento dello stomaco, malessere generale fino ad arrivare ad un bel mal di testa tremendo che neanche ora non accenna a passare.
E ora, sinceramente, mi rintano sotto le coperte e voglio spegnere questo cervello che rimugina troppo su certe cose.
E ora, sinceramente, voglio fare finire questa giornata.

Cronache di un open space

Giornata di cambiamenti a lavoro.
Appena arrivati, ci siamo accorti che i computer si erano moltiplicati. Sono comparsi 8 nuovi iMac bianchi, una nuova stampante, qualche telefono e sedia in più. Il gossip d’ufficio fa sapere che si trasferirà qui da noi la redazione di un giornale che in parte gestiamo. E già ci stiamo preoccupando per queste 8 persone in più che parleranno, risponderanno al telefono, respireranno. L’open space potrebbe diventare invibile.
Così abbiamo di goderci il nostro ufficio per l’ultima volta, oggi che eravamo veramente in pochi. Oggi che sembrava che i telefononi, i giorlasti e il mondo fosse in scoperto. Se non fosse stato per il mitico mago hi-tech dell’azienda che ha chiamato miliardi di volte per fare delle prove con il centralino. E passami l’interno tal dei tali e mettimi in attesa e mannaggia la musichetta non funziona aspetta che ti richiamo subito.
A fine giornata ho ripulito il mio adorato Power Mac G5 (ultima revisione :D), visto che da domani non sarà più mio: se ne imposseserà un altro stagista. E ho preferito ripulirlo un po’, togliete tutte le personalizzioni che avevo messo.
Finirò su un’altra scrivania, lontano dai colleghi del mio gruppo di lavoro, il che complicherà un po’ il coordinamento delle attività. Però avrò davanti ad un iMac nuovo. Ci guadegnerò in potenza, ma quei computer non sono fatti per fare grafica. Lo schermo lucido, tra luci al neon e finestre, fa troppi riflessi ed è troppo – troppo – contrastato. Ma vallo a spiegare ai grandi capi. Gli stessi capi che hanno pure comprato un’altro iMac nuovo per un giornalista. Quando ci sono altri grafici che hanno anche un G5 singolo processore che va a manovella.
E oggi abbiamo salutato il “nostro” giornalista. Che da domani non ci farà più parte del gruppo, seguendo altri progetti. Sì, ok, sarà a 4-5 metri da noi. Ma non sarà più la stessa cosa. Le pause, gli scambi di sguardi, le imprecazioni quando xPress si chiudeva inaspettamente (mentre non rispondeva). Sigh sob.
E oggi ha fatto un regalo a tutti. Uno di quei blocchetini per appunti, un ArtMeno. Con disegno personalizzato, ovviamente. A me l’ha preso con l’uomo vitruviano di Leonardo. Dopo la mia filippica contro il banalissimo logo dell’Expo 2015. Non so perchè, ma da quella mia filippica sono diventato colui che critica i loghi. Come se non ci fosse nulla che non mi piace. Non è mica vero!
E la serata è finita con un po’ di sano gossip da ufficio. Ci saranno altri cambiamenti in quell’open space. E molti stanno affilando i coltelli, visto che questi cambiamenti non sono affatto graditi. Sarà, ma in quell’open space l’aria si fa sempre più pesante.

Vola

E così, senza neanche accorgermene, è passata un’altra settimana.
Ho avuto le date definitive delle mie ferie. E direi che siamo a buon punto con l’organizzazione del viaggietto estivo in Grecia con Love, per il matrimonio dei Bergamaschi™. Qualche giorno ad Atene, giusto per ammirare le bellezze del luogo, lasciare che qualcuno impazzisca, prendere un po’ troppo caldo e poi spostarci a Syros con il resto della comitiva.
Ma, a parte questo, la settimana è stata tranquilla, senza nessun evento eclatante.
Ho le mani in pasta in un po’ troppe cose, troppe promesse fatte e lavori vari da finire. Ma per un motivo o per un altro rimando sempre.
Ma domani devo assolutamente riuscire a sistemare almeno un paio di faccende: dichiarazione dei redditi e un po’ di file da stampare.
E vediamo se riuscirò a seguire un programma di pochi passi da fare per volta. Ne dubito, ma ci tento.
E per seguirlo, la prima cosa da fare è scappare a letto.