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Chiavi dimenticate

Mi ha chiamato il papi per avvisarmi che ho dimenticato le chiavi a casa.

Ridacchiava, sul fatto che oggi, primo giorno di lavoro, me le sono dimenticate a casa, senza ricordarmene.

Strano, perchè di solito controllo sulla scrivania se c’è qualcosa che mi serve, prima di uscire e io, di solito, le lascio nel cestino sulla scrivania, quindi me ne sarei accorto. Così ho chiesto dove le avevano trovate, visto che non le avevo viste. E mi ha risposto che le aveva trovate la madre, nel cassetto. Ma come, nel cassetto? Perchè ha aperto il mio cassetto? Ma no, stava riordinando. Scusa, cosa stava riordinando nel cassetto della mia scrivania? Ma no, stava mettendo via la biancheria. Eh? Che ci facevano le mie chiavi di casa nel cassetto della mia biancheria!? E, a quel punto, non ha più saputo cosa rispondermi. Se non che mi aspettava sveglio. Loro, a volte, si dimenticano di chiudere il portone a chiave. Però no, lasciarmi le chiavi nascoste in garage, non è affatto sicuro.

Non è necessario

Perchè avere un TomTom o comprare un iPhone 3G con GPS integrato, quando puoi avere lo stesso risultato (ed è anche più comodo) sfruttando una chiamata (non pagata) con il tuo numero You&Me Parole e Messaggi (senza limiti)?

Nello specifico, la strada che porta al casello vicinissimo a casa era chiusa, quindi sono andato al casello quasi vicino a casa, in direzione Milano, per fare anche benzina (e controllare se la carta di credito funzionava). Peccato che quel casello era chiuso e ho dovuto affrontare il traffico della statale 11, accuratamente evitato passando in mezzo ai paeselli, con un navigatore telefonico amoroso perfettamente funzionante (cisto che qualcuno mi aveva tolto il tomtom dalla macchina, sgrunt!). Poi l’entrata in autostrada a Rho, un kilometro di autostrada, poi la barriera (porte telepass bloccate), poi lo svincolo per Certosa e la solita coda di camion/macchine/imbecilli che sbagliano corsia e bloccano tutto. Poi, arrivato all’ufficio, il mercato. E la difficoltà  a trovare parteggio. Ed è solo l’ultimo giorno di lavoro.

Odio (elettronico)

Oggi.

La mia prima Moleskine.

Un acquisto un po’ turbolento, di corsa, alla Mondadori vicino all’ufficio prima di iniziare a lavorare. Scelta (anche se le mini-mini-mini-Moleskine mi tentavano un sacco?) e pagata. 

Poi l’idea che potevo comprare qualcosina per Love. Non propriamente il regalo, ma qualcosa che può far comodo ad entrambi :P. 

Così rientro in negozio, punto lo scaffale, prendo (con un po’ di dubbi), compro e.. non pago, visto che la carta di credito (usata 3 secondi prima) non funziona più. E no, è impossibile che io abbia superato il massimale. E vado (grrrr) di bancomat, che funziona.

Poi lavoro. Lavoro. E ancora lavoro. 

Poi pausa. Mi fermo al bancomat: macchinetta decide che la mia carta (il bancomat, usato un paio di ore prima in negozio) non è valida e con disgusto me la sputacchia fuori. 

Rimango ancora con zero euri nel portafoglio e un po’ di debiti con i colleghi, visto che non riuscivo neanche a pagarmi caffè e brioches. (No, non mi danno più i Ticket, per chissà  quale motivo).

Però carta e bancomat che fanno le bizze nel giro di poche ore, praticamente il giorno prima di partire per Atene e la Grecia, non è (affatto) un buon segno.

Domani urge una visitina in banca.

Gomitoli e matasse

Sono stufo e stanco. Molto stanco. Inizio ora a sentire la stanchezza di questi ultimi e dei precedenti giorni lavorativi e non vedo l’ora di staccare, prendere una pausa.

In questi giorni mi sento deluso, completamente deluso da certi colleghi, da coloro che mi stanno intorno per tutta la giornata lavorativa.

Veramente, sono pochi, in quell’openspace quelli che prendono sul serio il proprio lavoro. Responsabilità  date a chi non se le merita e non fa nulla per meritarsele, se non demandare ad altri il lavoro, parlare al telefono (preferibilmente dell’ufficio) ininterrottamente con amici e parenti (possibilmente urlando). E, così, di persone, ce ne sono due.

Un menefreghismo totale su certi aspetti, l’incapacità  di organizzarsi, di dare le priorità , di rispettare i propri colleghi o anche solo tenere un atteggiamento consono al luogo di lavoro. Che può pure informale e tutto quello che vuoi, ma usare certe volgarissime espressioni, sempre, ogni poco, urlando.. insomma, non è il massimo. Soprattutto se sei una donna.

Fortunatamente, per questo lunghissimo speciale estate, sto lavorando praticamente solo con i miei giornalisti. Riusciamo ad organizzarci bene il lavoro, riusciamo a coordinarci e l’uno – quando può – da’ una mano all’altro. E sono contento di come lo stiamo portando avanti. Credo stiano venendo fuori delle pagine veramente carine e ne sono soddisfatto.

Però capita che dopo tutta una giornata a curare lo speciale, ti giri e vedi l’uno e l’altra su msn, facebook, email, giochi e facciamo il test di Sex & the City, però è inglese, chi me lo traduce? e, insomma ti girano un po’. Perchè non è affatto la sbirciatina veloce per staccare un attimo. È – più o meno – la regola. E hanno pure il coraggio di lamentarsi che io non seguito alcune pubblicità  che, insomma, se stavo facendo altro, potevano anche pensarci loro, visto che stavano giocando, no? E hanno pure avuto il coraggio di andare via, prima di me. Hanno dato l’ok per la stampa alla tipografia quando mancava ancora quella parte di controlli che di solito faccio io, ma che non avevo ancora fatto perchè stavo facendo altro. E no, non ci si comporta così.

Però, al di là  della pura cronaca, queste cose mi danno veramente fastidio, mi fanno star male, ancora, anche se dovrei saperlo che lì dentro funziona così. Non esiste una seria gerarchia, non ci sono ruoli e compiti definiti, manca completamente organizzazione.

Uno dei miei giornalisti dice che sta sfruttando l’occasione per crescere professionalmente, più che altro nel senso di imparare a convivere con certi elementi.

Io, invece, per carattere, purtroppo, lascio correre le cose. Mi arrabbio, ho poi bisogno di sfogarmi e a volte sfogo tutto quello che mi tengo dentro con le persone sbagliate. Eppure, esternamente, sono mite e calmo. E questo, però, favorisce l’opera di certi personaggi, che credono di potermi mettere i piedi in testa facilmente. Ci hanno provato (e purtroppo, recentemente, ci sono anche riusciti). Però sto accumulando tutto. E prima o poi, sicuramente nel peggiore dei modi, esploderò.

E intanto, uscito dall’ufficio, sono rimasto a parlare un po’ con miei pochi ma buoni colleghi preferiti. E una cosa (di quanto scritto qua sopra) tira l’altra. Ci siamo confrontati ed è rassicurante perchè vuol dire che non sono io il matto che non capisce, che interpreta male le cose.

Però c’è una cosa che mi fa star male. Stavo pensando, di nuovo, a settembre e a quel che succederà . Con tutte le vicende giornaliere, mi si stanno visibilmente sgretolando le possibilità  che avevo di realizzare il mio sogno: conquistare l’indipendenza dal nido materno e andare a vivere nella grande città .

C’è sempre stata la consapevolezza della difficoltà  della scelta. Conciliare la scuola di grafica al mattino e il lavoro al pomeriggio sera si sarebbe rivelato piuttosto difficile. Avrebbe voluto dire rinunciare a molto, vuol dire rinunciare alle mie passioni, accantonare gli amici, probabilmente anche faticare a trovare del tempo per la persona che amo, in virtù di una cosa fondamentale per poter affrontare la giornata scolastica + lavorativa: il sonno.

Ora però si stanno aggiungendo anche forti dubbi a livello puramente economico: scuola + lavoro implica, per avere più tempo ed essere meno stressato, avere una minuscola stanzina a Milano. Affitto, spese, cibo da pagare, ai prezzi di Milano. Non vorrei dovermi trovare a vivere di stenti pur di arrivare a fine mese con uno stipendio che, alla fine, è quello che è (poi si dimenticano pure di pagare questo o quello).

Così partendo dalla difficoltà  intrinseca della scelta stessa e aggiungendo sia i forti dubbi economici sia l’invivibilità  dell’ambiente di lavorativo si arriva ad una lapidaria sentenza: è un suicidio. 

Sicuramente in caso di problemi ad arrivare a fine mese, la preferenza andrebbe alla scuola mentre il lavoro salterebbe (con un vaffa generale molto soddisfatto, probabilmente). Mi risveglierei di botto dal sogno dell’indipendenza diventato realtà  per troppo poco tempo e sicuramente farebbe molto molto male.

Come al solito, dovrò fare una scelta. Come al solito, non ne sono capace.

Mi dicono che devo fare quel che ritengo giusto per me, quel che mi sento di fare. Ma cos’è giusto? Abbandonare direttamente il lavoro e rimandare di almeno due anni la libertà ? Testare subito la libertà  e distruggermi di studio e lavoro? Non riuscirci e vedere fallire miseramente il mio progetto?

Non sono capace di chiudermi il passato alle spalle. Io rimugino, rimugino e rimugino. E ciò su cui più rimugino è me stesso. Mi guardo dentro, vedo una matassa imbrigliata e non vengo a capo di nulla. Sono un gomitolo di rimorsi per quanto non fatto, di rimpianti per quanto perso, di rabbia per gli errori commessi.

Poche semplici regole per arrivare a lavoro già  stressato

  1. Ricordarsi all’ultimo che il casello dietro casa è chiuso.
  2. affrontare l’attraversamento di ben 3 paeselli, inserendosi nel serpentone di macchine dirette verso l’autostrada
  3. vedere un camion tagliarti la strada, ad un semaforo, che per lui era rosso
  4. sbagliare strada alla rotonda successiva, perchè, sovrappensiero stavi andando col pilota automatico verso gli amici della grande città , non verso la lingua d’asfalto che ti condurrà  al lavoro
  5. fare inversione, un po’ sporca, al semaforo succesivo
  6. trovarsi davanti un camion che va a 20 all’ora
  7. il suddetto camion ti abbandona solo alla rotonda del casello dell’autostrada. Oltre al danno, la beffa
  8. in autostrada ci sono un po’ di soliti imbecilli
  9. a Milano ci sono un po’ di soliti imbecilli
  10. stanno ancora intonacando quel cavolo di sottopassaggio
  11. un camioncino esce dallo stop (senza passare dal via), ti taglia la strada e inchioda, per entrare in un parcheggio
  12. mentre hai la freccia sinistra lampeggiante, perchè devi andare a sinistra, un mercedes nero tenta di superarti, a sinistra, perchè deve andare dritto
  13. esci dalla macchina e schiatti nell’afa milanese
  14. arrivi in ufficio, fai presente che stanno facendo un po’ di casino con i tuoi stipendi e le risposte non ti convincono

Statistiche

Numero totale di foto fatte alla festa a sorpresa per Francesca e Nicola di sabato: 6

Numero totale di foto in cui si riconoscano almeno lontamente i soggetti: 2

Ora, va bene che era notte, va bene che anche io – col senno di poi – non ho praticamente fatto foto perchè c’era troppa gente che non conoscevo e stranamente non mi era preso il morbo da cinesino. Però questa minuscola ultrasottile ultracompatta ultra (ai tempi) costosa Nikon Coolpix S6 ha rotto il c**** (© 2008 by Francesca), soprattutto in notturna.

Appena il conto in banca lo permetterà , arriverà  una più che valida sostituta. Canon EOS 450D o Nikon D60?