Archivio mensile:Settembre 2008

Il giorno (del test)

Alla fine, ieri, l’ho fatto.

Prima lo stress di arrivare fin lì in macchina e cercare parcheggio (maledetti camioncini rossi della Bartolini!).

Poi l’impatto, una volta entrato nel campus, con tutta quella massa eterogenea di giovani aspiranti universitari. Forse, se fossi stato da solo, me ne sarei tornato indietro. Troppe persone, troppo vociare, troppa confusione. I miei soliti brutti pensieri iniziavano già a girare. Li guardavo e vedevo che ognuno, a suo modo, era particolare o estroso, nel modo di vestirsi, di parlare. E io? Io non ero niente di che. Uno tra tanti, che forse non spiccava tra tanti o forse neanche si distingueva.

Ma fortunatamente non ero solo. E velocemente sono stato accompagnato all’aula del test (se fossi stato solo, nonostante la cartina, mi sarei sicuramente perso). Poi l’appello, interminabile e le procedure per entrare in aula.

E nel frettempo, iniziare a chiaccherare con i vicini di banco. La ragazza romana che aveva iniziato giurisprudenza alla Sapienza e si era trasferita a Milano col ragazzo, il ragazzo che tenta da anni il test d’ingresso, chi ha già finito il suo corso di studi ma tenta per una seconda laurea. Insomma, alla fine, tra di noi, non c’era praticamente nessuno 18/19enne appena uscito dalle superiori. Eravamo l’aula dei tardoni, forse?

Poi il test. Alla fine fattibile, a parte un paio di domande stupide a cui potevo dare risposta per la risposta che supponevo era proprio quella giusta. Peccato che mi sembrassero troppo facili, troppo ovvie, troppo banali per essere corrette. E a parte quei 2 brani della comprensione del testo che erano abbastanza complicati. E con l’ansia di doverli leggere, del tempo che scorreva, del resto del test da fare non era così facile concentrarsi e comprenderli facilmente.

Poi il test (cavolata) di inglese e poi (visto che erano ormai le due e mezza) la ricerca di qualcosa da mangiare: un morbidone. Sì, decisamente troppo chimico per essere vero. Eppure esiste.

E, infine, la corsa in ufficio, per evitare di arrivare in ritardo. E sono arrivato in orario, ma stavo malissimo, tra una sensazione tremenda di sete e una certa difficoltà a respirare.

Poi, per tutto il pomeriggio, non è che sia stato così bene, però son sopravvissuto. Mentre la adorata collega, nel momento esatto che i capi avevano lasciato l’ufficio, ha comunicato che stava male e sarebbe andata a casa. Così da solo, a finire il valoro. Sì’, ok, mi hanno concesso l’aiuto di uno stagista, però se n’è andato alla fine del suo orario di lavoro. E io sono rimasto in ufficio, fino a mezzanotte, completamente solo.

E, per quanto quell’ufficio sia praticamente blindato (uscita di emergenza inclusa – nel senso che non neanche uscire), fa una certa impressione essere lì, da solo.

Fa una certa impressione spegnere i computer, il climatizzatore e le luci da solo.

E fa rabbia, una volta che la porta è irrimediabilmente chiusa dietro di te, ricordarsi di aver dimenticato dentro lo zaino con il mio adorato portatile. E che oggi, in teoria, avrei dovuto lavorarci e consegnare un lavoro…

Acqua

Tornando a casa, vedevo davanti a me brutti e accecanti fulmini, accompagnati da lampi e bagliori vari.
Arrivato al paesello è iniziato a piovere. Sempre più forte, man mano che mi avvicinavo a casa.
Ovviamente,mi sono letteralmente inzuppato in quei 30 secondi necessari per aprire il garage e nel brevissimo tragitto, di corsa, dal garage a casa.
Tanto è bastato per avere goccioloni cadermi dai capelli e anche le calze bagnate.
E ora? Nulla! Fuori tutto tace, a parte il leggero ticchettio delle goccie acqua che scorrono nei pluviali.
Non poteva, dico io, diluviare 5 minuti prima o 5 minuti dopo il mio arrivo a casa?

Pensieri (che mi tengono sveglio)

Oggi mi sentivo inutile.

Una volta lei era il genio, la creatività, la pazza con le idee. Io ero bravo e riuscivo a realizzarle. E funzionavamo.

Oggi lei è ancora geniale, creativa, pazza. Ma ha frequentato un’ottima scuola ed è diventata pure brava, bravissima. Prende, fa, disfa, pasticcia, gioca con le immagini, i font, i colori, gli effetti e gli strumenti.

Io, invece, tra leggi, numeri, formule e grafici mi sono perso, mi sono arrugginito e mi sono spento, sono rimasto indietro.

E oggi mi sentivo inutile.

E mi chiedevo che senso ha fare il test, che senso ha inseguire, illudendomi, una strada che non mi porterà da nessuna parte?

E così inizio a pensare. E a non capire. Cosa devo o non devo fare, quale sia la scelta giusta o la meno sbagliata.

E ho voglia di fuggire. Fuggire dalla situazione in cui mi ritrovo, fuggire da casa, fuggire da test.

E mi sommergo di cose da fare, per poter agire e non dover decidere.

Ma purtroppo per me, rimugino tutto, a fine giornata, sotto le coperte, tentando di dormire.

E si trasformano in incubi tremendi, che non mi fanno dormire: enormi massi bianchi cadono dall’alto mentre sto tornando a casa in macchina. Uno di questo masso cade davanti a me. Lo prendo in pieno e l’auto si schianta, con tanto di scena al rallentatore in cui la macchina si accartoccia su di me, schiacciandomi e soffocandomi sempre di più finchè, d’un tratto, non mi sveglio tutto sudato.