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[Pensieri sconclusionati] La cena dei piccoli aiutanti di Babbo Natale

Effettivamente, il post sulla cena dai Bergamaschi non poteva mancare.

Perché i padroni di casa non si son smentite. Una casa che trasudava regali, luci, addobbi e decorazioni da ogni poro dell’intonaco. Quel tocco di esagerato che la rende bellissima e speciale. Una casa da ri-scoprire in ogni angolo, perché la chicca è sempre nascosta dietro l’angolo.

Però, casa a parte, la differenza la fanno loro. Era un sacco che non li vedevamo, in effetti. E sono sempre i soliti. Non c’è niente da fare. Io con loro sto bene, benissimo. Per quanto, dopo un po’, abbia iniziato a sonnecchiare in piedi e diventare bianco parete a causa della stanchezza.

E ovviamente, c’è stato il magnifico momento di scambio dei regali. È stato strano far parte di un gruppo di amici che si scambiano regali. Io non l’ho mai fatto prima. Non ho il senso del Natale, del regalo, dello scambio. Nulla. Zero, completo. E mi sento un po’ a disagio, per non aver pensato (e realizzato) un regalo.

Ma sono contento. Di avere uno stupendo cuscino/abbraccio rosso. Di avere una porzione di brilli porta fortuna, da utilizzare al momento opportuno.

E nel frattempo, avevo il click facile con il mio novo giocattolino. Ok, ci sono stati i rimproveri per averlo comprato troppo tardi. Ma insomma. O mi pagavo il volo per la Grecia, o mi compravo una signora reflex! 

Mi piaciono alcune foto che ho fatto. Altre, le posso sistemare con un po’ di photoshop. Però 500mb di foto per una cenetta forse sono un po’ troppe.

Sognando martedì (o mercoledì?)

Ok. Sono giorni decisamente pesanti. Sommerso di cose da fare per l’uni e impegnato in lunghe e faticose giornate lavorative, che tra partite da attendere e speciali di natale e capodanno, sembrano non finire mai.

Poi arriva la mattina. E la necessità  di svegliarsi, presto, ad un orario decente, per andare a tagliarsi i capelli, sistemarsi quella maledetta barba, fare le tavole, pensare alla consegna di lunedì, andare a prelevare, comprare la custodia per la nuova bestiolina.

Qui si dorme molto e male, non riuscendo però ad essere fresco e riposato. 

E le cose si tirano per le lunghe e non sono mai convinto del risultato.

In più piove piove piove e mi mette tristezza.

In fondo, devo solo arrivare in qualche modo almeno a domani e alla cena di domani sera. E poi, tirare fino a martedì sera (o mercoledì?) per potermi godere qualche giorno di totale e assolutamente meritata vacanza.

Voglia

Ecco, ogni tanto ritornano.

Ritorna la voglia di prendere quelle 4 cose che ho e andarmene, andarmene da qui e non tornare più.

Voglia, insomma, non so. Forse è quasi una necessità . Perché qui io non ce la faccio.

Però dovrei essere più impulsivo, avere veramente il coraggio di farlo.

E invece mi blocco. Mi blocco davanti al come farò a vivere, dove andrò, che ne sarà  dell’uni.

E invece mi blocco. E così perdo tempo. Perdo tempo al pensare a come dovrebbe essere, perdo tempo nel non fare quello che dovrei fare e mi riduco, così, all’ultimo.

E mi si chiude lo stomaco, come sempre. E non riesco a mangiare, mi viene il vomito a sentire solo l’odore di cibo. Non voglio mangiare. Non voglio mangiare qualcosa che viene da loro, non voglio avere più nulla a che fare.

Sono stufo, stufo, stufo, stanco.

Dicono che le cose sono cambiate, che io sono matto e mi fisso, mi fossilizzo sulle cose, sulle virgole, sui punti e virgola.

Ma io ho chiesto e preteso solo una grande, importante cosa.

Che si rimangiassero quello che mi hanno detto.

Che si rimangiassero quello che mi hanno detto quella sera, su quella scala, quando volevo uscire.

Che si rimangiassero quella cosa che mi hanno detto e che mi ha – letteralmente – ucciso.

Che si rimangiassero quella cosa che mi hanno detto e che li ha – letteralmente – ucciso ai miei occhi.

Dopo quello, loro per me non sono più nulla.

E possono avere torto o ragione. Può per loro essere facile o difficile.

Possono leggere questo o può esserci qualcuno che sta leggendo e poi spiffera tutto (beh, nel frattempo voglio proprio ringraziare questa persona: sì, si è dimostrato/a un/a grande amico/a nei miei confronti).

Io non sarò perfetto, ho fatto i miei errori, non sono come loro mi vogliono.

Ma una cosa così, signori, cambia tutto.

E non riesco a capire se non hanno ancora capito, se vogliono fare finta di nulla o se, semplicemente, se ne fregano di quello che dico.

Perché tanto vale molto di più un saluto non dato, le ciabatte non indossate, i pantaloni tenuti un giorno in più, i discorsi sbagliati fatti mentre dormo.

In fondo, è solo una questione di valori e punti di vista, no?

E nessuno può dire se sono giusti o sbagliati, no?

Quindi, i miei sono sbagliati, i vostri no. Giusto?

Ieri.

È stata una giornata semplicemente tremenda.
A partire dal risveglio, accompagnato da fastidiose urla, il viaggio in treno, l’esame di disegno, la mano che doleva a furia di tracciare linee, scrivere e cancellare, il non pranzo, la lezione di movie design (inutile!) e l’infinito viaggio di ritorno a casa, tra treni impazziti, pieni come carri di bestiame, ritardi, pioggia e troppe – troppe – cose in mano.
E l’unica che poi volevo era un po’ di tranquillità  e un po’ di riposo.
Ma una delle due, ovviamente, non c’è stata.

Neve

Io mi ricordo, di una volta, di quando veniva mio padre a svegliarmi e sussurrarmi che c’era la neve. E allora prendevo, mi alzavo, anche se faceva freddo, in pigiama e correvo alla finestra a vedere tutto il mondo, che a quel tempo sembrava infinito, ricoperto da una coperta bianca, correvo alla finestra a vedere i fiocchi che cadevano, uscivo di casa per tentare di acchiappare quei fiocchi, per farli miei, per sempre, ma immancabilmente si scioglievano istantaneamente al contatto con la mia calda mano.

E ora, invece, nulla. Nevica. Vedrò di partire un po’ prima, per evitare casini. Bisogna andare un più piano e stare più attenti in strada. Magari i treni ritardano. Devo cambiare scarpe, per evitare di bagnarmi quelle belle.

Però, oltre a questo, niente, nessun effetto, nessuna meraviglia, nessun incanto.

Solo noia e scocciatura.

Lost

Non c’è dubbio.

È la mia specialità .

Quella di prendere, perdere e fermarmi.

Immobilizzato, come se nel momento in cui il cervello si accende, tutto il resto non ha più energia per fare nulla.

E così, partono i pensieri.

Su oggi, ieri e domani. Sulle cose da dire e da fare. Sui sogni da realizzare e quelli infranti. Sugli errori, sulle speranze. Sugli amici, sui colleghi, l’ufficio e l’uni. Sul tg e sui giornali, su di me, me e me. Di quanto sono bello e brutto, stupido e intelligente. Di come potevo gestire meglio quella situazione o di come invece sono stato bravo a gestirla. Sulle frasi dette e pensate. Sugli amici di oggi e quelli di ieri. Sugli amici vicini e quelli lontani. Soprattutto quelli lontani, che non vedo, non sento, mi mancano. Ma mi manca anche chi è molto più vicino.  Pensieri su come organizzare la giornata successiva, quando fare le varie consegne, sul freddo e su quanto è bello l’inverno. Penso a frasi, lette, sentite, che rimangono intrappolate e vengono lette, sentite, di nuovo, all’infinito. Per sviscerarne il significato più recondito, per imprimerle indissolumilmente o semplicemente per farle andare via, ma rimangono invece blocccate.

E tutto non ha senso. Perché è la solita inutile accozzaglia di pensieri che si scontrano. Senza un perché. Perché è inutile pensare a quel che non c’è più o a ciò che non si può ottenere. Perché è inutile perdere tempo a rimuginare su cose non dette, non fatte o ormai dette e fatte male, sbagliando. Perchè non ha senso organizzare il futuro se poi non si riesce a tener fede neanche al più semplice todo appuntato su un post-it volante.

Eppure succede. E quando succede, va avanti all’infinito. Percéè sono troppo sensibile all’esterno. Tutto viene immagazzinato e rielaborato. E perdo tempo, imbambolato. Oppure non dormo, fissando il soffitto, mentre mi accorco, con orrore, dei pensieri che corrono.

E non ha senso, ora. Perché fa freddo, è tardi, è tempo di andare sotto le coperte.

Però non ne ho voglia. Oppure ho paura. Paura di quel che succede prima del sonno, paura di chiudere un giorno in cui poco é stato fatto, paura di avviarsi verso il domani.

[Flickr moment] Ricordi e particolari

Ricordi e particolari [su Flickr!]

Ricordi e particolari - su Flickr!
Ricordi, di un’estate che è ormai passata.
Ricordi, di un 888.
Ricordi, di quel mare limpido.
Ricordi, di quel cielo così azzurro.
Ricordi, dei viaggi su quella Mini, in buona compagnia, la sera, di giorno, quando non era il caso di prendere il Motoronzo.

Pensando a quanto un piccolo particolare, possa raccontare così tanto di due magnifiche persone.

Remember?

Immobile, davanti alla stufetta che sputava aria calda, per tanto, troppo tempo.

E la testa affollata di pensieri, sensazioni che correvano veloci, da una parte all’altra, cozzavano e facevano male.

Tu, dietro una porta, che parlavi e dicevi cose, che però non riuscivo a sentire.

Poi la doccia.

Sotto lo scorrere dell’acqua, cadevano goccie di un pianto sommesso.

Poi le fotocopie e i documenti, che hai dimenticato a casa.

Poi il pranzo, forzato, con lo stomaco ormai chiuso e i bocconi mandati giù a fatica.

Le tue parole che mi hanno ferito, le mie parole che ti hanno ferito.

Ma purtroppo, per me, tutto si riduce ad un’unico momento di giorni e giorni fa.

Tutto si riduce ad una doppia frase, magari detta nella foga della lite.

Però mi rivedo, lì, a metà  della scala, quella sera o tardo pomeriggio, che mi sento dire

Non ti accetto per quello che sei e non ti accetterò mai.

Mi hai lacerato il cuore, hai annichilito le mie speranze.

E mi spiace. Perché quella frase ha cambiato tutto.

E mi sembra di averlo già  detto, averlo già  fatto presente.

Eppure nulla, nulla è cambiato. Non un non è vero, non l’ho detto. Non un era colpa della rabbia. Non un non è più così, ora è diverso. Non un we’re workin’ on it.

Finché quella frase rimarrà  valida, non chiedermi qualcosa di più.

Perché è il massimo che posso darti.

Perché è il massimo che voglio darti.